Sostituì il suo predecessore e fu poi rieletto Moralizzò la Casa Bianca dopo gli scandali

Calvin Coolidge scoprì in piena notte che sarebbe diventato presidente: alle due e mezzo del mattino del 3 agosto del 1923, quando lo avvertirono che Warren Harding era morto all'improvviso, a San Francisco. Coolidge, il suo vice, giurò da presidente degli Stati Uniti poche ore dopo, di fronte al padre notaio. Si trovava infatti in Vermont, il suo Stato: lì era nato, a Plymouth, nel 1872; poi, però, per cominciare la carriera in legge e in politica si era spostato a Northampton, in Massachusetts, di cui diventò anche Governatore.
Coolidge era un repubblicano di stampo decisamente conservatore. Il suo impegno fu da un lato restaurare il prestigio e la moralità della presidenza, che attraversava un periodo di debolezza a causa degli scandali per corruzione; e dall'altro tornare ai principi economici fondamentali, in un periodo in cui il Paese sembrava avere trovato nuovo benessere e nuova vitalità. Riuscì in entrambi i propositi. Mantenne di fatto la stessa squadra di governo e perseguì il programma del suo partito: isolamento in politica estera, tagli alle tasse, aiuti risicati agli agricoltori e scarso intervento statale, soprattutto in questioni economiche. È quella che il giornalista Walter Lippman definì la sua «inattività attiva... perfetta per gli interessi del mondo degli affari».
Una politica amata anche dal popolo americano però, visto che il presidente venne rieletto nel 1924, nel segno della «Coolidge prosperity», ottenendo oltre il cinquantaquattro per cento dei voti. Ma Coolidge non era soltanto un uomo di pochi interventi (ad eccezione di quelli per bloccare gli aiuti statali all'economia agricola): era anche di pochissime parole. Tanto che i suoi silenzi divennero leggendari, anche durante le interviste, dove spesso si limitava a rispondere «sì» o «no». Eppure - sosteneva lui stesso - spesso basta poco per spiazzare l'interlocutore, «per venti minuti o più». Un aneddoto spiega quanto fosse ormai celebre, già all'epoca, la sua parsimonia in fatto di vocaboli. Durante una cena, una giovane donna prese posto accanto al presidente e gli confidò di avere accettato una scommessa: riuscire a estorcergli almeno tre parole. Laconica la replica: «Ha perso» («You lose»). Pare che Coolidge non si fosse nemmeno preso la briga di guardarla negli occhi, mentre troncava la conversazione con un soggetto e un verbo, due parole soltanto, a dispetto della scommessa. Silenzioso, quindi, e anche poco accondiscendente, in linea probabilmente con la sua volontà «moralizzatrice» alla Casa Bianca. Tanto restio a dare spiegazioni da liquidare in pochi secondi una questione di peso come una eventuale ricandidatura, che il partito avrebbe auspicato: «Ho scelto di non correre come presidente nel 1928». E così chiuse la faccenda.


In effetti, prima della morte, Coolidge confessò a un amico di non sentirsi più «adatto» ai nuovi tempi, il dramma della Grande Depressione, che lui non visse più alla Casa Bianca (lasciò Washington proprio nel 1929), ma da pensionato della politica. Coolidge infatti si ritirò a casa sua, a Northampton, dove morì nel 1933. Al suo posto i repubblicani candidarono il suo segretario al Commercio, Herbert Hoover.

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