Inevitabile chiedersi: come è possibile? Come è stato possibile che qui, a Milano, un’area di oltre un milione di metri quadri in una posizione strategica, tra la tangenziale e il metrò, sia stata spacciata per un caso esemplare di riconversione del territorio: e invece trasformata in una cloaca di veleni, in una discarica dove si poteva buttare di tutto con il cadmio, il cromo e l’amianto a ridosso delle case e sotto di esse, a filtrare nel terreno e ad avvelenare la falda?
Nel decreto che ieri ha portato al sequestro del cantiere di Santa Giulia, in almeno due occasioni, oltre alle colpe dei costruttori e dei loro complici, indagati per avvelenamento delle acque (pena dai 15 anni di carcere in su), si fa cenno esplicito alle colpe degli enti locali. Colpe bipartisan: perché se le omissioni del Comune sembrano ricadere sulla amministrazione di centrodestra di Gabriele Albertini, le leggerezze della Provincia risalirebbero all’epoca in cui a Palazzo Isimbardi comandava il centrosinistra di Filippo Penati.
Nel decreto di sequestro dell’area di Rogoredo, eseguito ieri mattina dalla Guarda di finanza su ordine della Procura, al Comune viene contestato soprattutto di avere fatto finta che, nei terreni dell’ex fabbrica Montedison, scorresse solo una falda d’acqua profonda, tra i dieci e i quaranta metri di profondità, e di avere ordinato analisi solo su di essa. Mentre invece un po’ più in su, tra i quattro e gli otto metri di profondità, c’è un’altra falda, chiamata «faldina». É la faldina ad essere stata letteralmente imbevuta di veleni nel corso di questi anni, a causa delle mancate bonifiche. É vero che non alimenta l’acquedotto. Ma si allontana verso i campi, imbeve i terreni, si travasa lentamente nelle falde inferiori. E «secondo l’Arpa emerge sia dai monitoraggi eseguiti sulle acque durante i lavori di bonifica, sia da quelli successivi, che non si è tenuto conto della falda sospesa, la cosiddetta faldina, benché se ne conoscesse l’esistenza sia da parte dei privati sia da parte del Comune (..) emerge che il Comune di Milano era a conoscenza della faldina sospesa (...) tuttavia né i privati che eseguivano la bonifica né gli enti pubblici preposti al relativo controllo hanno evidenziato il problema della estensione della faldina». Mentre per la Provincia il decreto segnala come nel febbraio 2004, nell’ottobre 2005 e nell’aprile 2008 i tecnici di Palazzo Isimbardi abbiano certificato altrettanti interventi di bonifica: compresa quella dell’area Pzc, una delle più compromesse. Quella bonifica che, rivelano le analisi del’Arpa, in realtà non è mai stata fatta. Inevitabile, insomma, che ieri la Guardia di finanza - mentre mette i sigilli al cantiere di Rogoredo - vada anche a bussare ad alcuni uffici comunali e a farsi consegnare altre carte sull’affare Santa Giulia.
Colpe degli enti locali, dunque. Tanto più gravi se si dovesse accertare che davvero l'avvelenamento della «faldina» e della prima falda ha infestato l’acquedotto. Su questo l’ordinanza del giudice D’Arcangelo sembra assai pessimista: «L’Arpa ha precisato che, ancorché la faldina non sia generalmente oggetto di prelievo a scopo potabile in quanto è esposta alle più svariate tipologie di eventi contaminanti, esistono peraltro e purtroppo casi (ma non nell’area in esame) di abitazioni e fattorie lontane dai centri abitati».
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