
Si parla sempre più spesso di sovranità tecnologica e digitale come priorità strategica. Ma cosa significa per un Paese come l'Italia? "Viviamo un contesto geopolitico dove il controllo della tecnologia coincide sempre più con il controllo del potere. Per l'Italia, la sovranità tecnologica è ormai una necessità strategica che va ben oltre la competitività economica: significa tutelare autonomia, sicurezza e resilienza in settori chiave", spiega Walter Renna, ceo di Fastweb+Vodafone.
"Le infrastrutture digitali, come per esempio le frequenze mobili, - prosegue il manager - sono asset critici, paragonabili all'energia o all'acqua, perché attraverso le frequenze viaggiano comunicazioni civili, militari ed emergenziali. Affidarne la gestione a operatori radicati sul territorio è fondamentale per garantire la sicurezza nazionale".
Rimanendo sulle frequenze, secondo lei è ancora attuale il modello dell'asta per la loro assegnazione?
"Il meccanismo dell'asta garantisce efficienza ma in questo contesto geopolitico - con soggetti che hanno risorse illimitate ma non un ancoraggio vero con il nostro Paese - rischia di consegnare un asset strategico al miglior offerente, i cui interessi potrebbero essere disallineati rispetto a quelli nazionali. Per questo stiamo dialogando con tutti gli attori istituzionali, da Agcom al MEF, affinché si segua l'esempio di altri Paesi europei, che hanno esteso le licenze a soggetti stabili sul territorio, a fronte di impegni concreti in termini di investimento e copertura".
Ma il cuore della questione oggi sembra essere anche e forse soprattutto quello dei dati, del cloud e dell'AI. È così?
"Assolutamente sì, ma prima ancora dobbiamo necessariamente mettere al centro le reti fisse. Sono la dorsale invisibile dell'economia digitale: senza di esse non esistono cloud, AI, né cybersecurity. Il settore delle telecomunicazioni è in crisi da anni e e le normative europee, come la NIS2, impongono requisiti di sicurezza molto rigidi. Le reti però non diventano inviolabili per decreto: servono investimenti in resilienza, ridondanza e sicurezza ma soprattutto una visione industriale con misure concrete come un alleggerimento dei costi energetici e una regolazione che ci metta in condizione di competere alla pari con i big player globali".
Tornando all'AI, come garantire che il suo sviluppo sia in linea con la sovranità e i valori europei?
"Il vero nodo è il controllo dei dati e, con esso, dell'autonomia digitale. Molti sistemi di intelligenza artificiale oggi operano su infrastrutture extra-UE, con normative poco trasparenti e non sempre compatibili con i principi europei. In molti casi i dati immessi nei sistemi, anche se sensibili o strategici, possono essere trasferiti o trattenuti, senza garanzie di segregazione. L'AI guiderà scelte cruciali in sanità, giustizia, finanza e difesa. Non possiamo dipendere da intelligenze artificiali sviluppate altrove con logiche opache".
Qual è allora la strada da seguire per garantirsi l'autonomia nell'AI?
"È fondamentale disporre di potenza computazionale localizzata in Italia, che sia allo stesso tempo sicura e ad alte prestazioni e sviluppare modelli di AI basati su dataset nazionali di alta qualità, trasparenti, tracciabili e pienamente conformi agli standard europei. Infine, serve un orientamento strategico degli appalti pubblici, che privilegi soluzioni tecnologiche interamente sviluppate e gestite in Italia o comunque in Europa, per garantire sicurezza e conformità normativa. A questo proposito va nella direzione giusta la decisione del Parlamento italiano di introdurre nel Ddl AI una norma che spinge le Pa ad acquistare soluzioni di AI nazionali".
E voi come azienda cosa state facendo in questa direzione?
"Abbiamo investito in un supercomputer dedicato alla Generative AI, già operativo a Bergamo, e addestrato un nostro modello proprietario su dati di qualità. È un passo concreto verso l'autonomia tecnologica: oggi siamo in grado di offrire soluzioni sicure, performanti e trasparenti ad aziende e Pa. Investiamo in cloud nazionale, cybersecurity, infrastrutture e competenze localizzate. Ci stiamo trasformando da operatore Telco a piattaforma tecnologica integrata, ovvero una TechCo".
In conclusione, cosa serve davvero per garantire la resilienza tecnologica del Paese?
"Serve una visione industriale chiara, centrata su infrastrutture e dati e un patto forte tra pubblico e privato.
Per costruire un'Italia più sicura, resiliente e competitiva, servono alleanze industriali, scelte politiche coerenti e strumenti di policy efficaci, a partire dagli acquisti pubblici. In gioco c'è la capacità dell'Italia di proteggere i suoi dati, i suoi valori e, con essi, il proprio futuro".