Spagna, i transessuali nelle carceri femminili

L’idea della direttrice dell’amministrazione penitenziaria: i detenuti che stanno per cambiare sesso potranno scegliere

da Milano

I detenuti transessuali potranno presto essere imprigionati in carceri per donne o uomini a seconda della loro «identità psico-sociale» e non secondo il loro stato civile. Lo scriveva il quotidiano spagnolo El Pais in edicola ieri. La direttrice generale delle Amministrazioni penitenziarie, Mercedes Gallizo, aveva già manifestato più volte nel passato la sua intenzione di modificare in questo senso il funzionamento delle prigioni. Secondo El Pais la circolare contenente le disposizioni sui transessuali sarebbe praticamente pronta per essere pubblicata. Le persone la cui identità sessuale non corrisponde alla loro «identità psico-sociale» potranno chiedere di essere detenute in carceri in funzione di quest'ultima e i funzionari dovranno chiamarle con un nome di loro scelta. Un modo per cercare di risolvere, o almeno attenuare, situazioni tragiche che portano i detenuti fin sull’orlo del suicidio. Evitando i soprusi che i transessuali subiscono nei carceri per uomini. Il candidato (o la candidata) dovrà comunque provare di aver iniziato a cambiare sesso almeno da un anno prima di entrare in prigione.
Secondo El Pais, sarebbero circa 40 i transessuali attualmente detenuti nelle carceri spagnole. Si tratta di situazioni delicate, che creano imbarazzo anche presso le donne incarcerate che dovrebbero accogliere tra loro il transessuale. El Pais cita due casi. Il primo: quello di una condanna a 12 anni per una serie di furti, che portò Reyes (questo il suo nome) a una crisi depressiva per essere stato incarcerato (o incarcerata?) assieme ad altri 180 detenuti uomini. Oggi, dopo otto anni di carcere, ha ottenuto la semilibertà per buona condotta e torna in cella solo per dormire. Vorrebbe diventare Anna, ma lo potrà fare solo se cambierà la legge: in carcere ha dovuto subire ogni tipo di umiliazione, diventando un oggetto sessuale a disposizione degli altri detenuti. «Se uno ti offriva un caffè, sapevi già che cosa avrebbe voluto dopo», afferma. Un trauma che lo ha costretto a ricorrere a cure psichiatriche per quattro anni. E a quel punto ha chiesto di essere trasferito nel reparto delle donne, ma la legge non lo prevede: «Il direttore del carcere mi ha detto che ci ha tentato, ma che non era permesso. Io ho subito una condanna doppia», commenta.
Il secondo caso è esattamente l’opposto del primo: Laura è un uomo, almeno anagraficamente, ma si sente donna. Ha subito una condanna a sei anni per traffico di eroina, quasi del tutto scontata. Spiega: «Mi sento una donna e avrei il diritto a stare nel settore delle donne, ma se mi chiedessero dove voglio andare, direi in quello degli uomini. Anche perché qui dentro, da un anno, ho trovato un fidanzato. Ho avuto altre relazioni, ma questa è la prima che posso definire quasi amore. Quando potrò uscire di qui avrò delle speranze».
Ma la soluzione non è così semplice: non è detto che le donne siano felici di accogliere transessuali nei loro reparti di detenzione, anche perché si temono violenze.

E anche se i transessuali si dichiarano disinteressati alle donne. La vera prigione, sembra dire il quotidiano spagnolo, non sta nelle mura in cui sono rinchiusi, ma nella loro situazione personale da cui non riescono a uscire.

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