È stato divertente ascoltare le telecronache delle varie tivù locali lo scorso venerdì, quando Milano arrancava sotto il peso della neve. Più delle scivolate delle vecchiette che si slogavano le caviglie e di una città completamente paralizzata, lattenzione era concentrata su Milan-Samp dellindomani: la partita si farà o non si farà, risuonava lamletico quesito dei calcio-dipendenti? Ma se i soccorsi in città stentavano a decollare, perfetto è stato lintervento salva-Meazza: teloni per la protezione del campo prontamente distesi; un impianto di riscaldamento che ha portato calore al prato e impedito la formazione di ghiaccio messo subito in funzione e, dulcis in fundo, le squadre degli spalatori, quattro o cinque, formate da una ventina duomini ciascuna, precipitosamente attivate (che si sono alternate anche di notte). Erano quasi tutti egiziani, spiegava un telecronista tarantolato, colto dallansia per limminente sorte della partita in forse. E la cosa in sé più che una notizia ci è sembrata una certezza: di spalare, calcio o non calcio, gli italiani non ne hanno nessuna voglia.
A colmare il vuoto lasciato dal sempre più affaticato homo italicus nei confronti di certi mestieri ritenuti duri, ci hanno pensato quegli stranieri con voglia di tirarsi su le maniche, ormai protagonisti del sistema produttivo. Le statistiche parlano di commercianti, ristoratori e piccoli imprenditori rappresentati per il 33% da due nazionalità: quella cinese (17,2%) e quella egiziana (16,2%), oltre alle altre nazionalità emergenti. Si tratta soprattutto di imprese attive in ambito commerciale (1.639 ditte), nel settore delle costruzioni (1.
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