da Pescara
Uno stato di disperazione che durava da anni. Questo ha spinto un padre a uccidere a colpi di fucile da caccia il figlio alcolista di 31 anni. La tragedia si è consumata la notte scorsa in un appartamento di Pescara dove l'assassino, un operaio di 54 anni, Alfonso Perini, ha sparato da distanza ravvicinata contro il figlio Rocco, colpendolo mortalmente al torace. Chiara la volontà di uccidere: l'uomo, cacciatore, ha usato ben due fucili calibro 12 che deteneva regolarmente assieme ad altre armi, tra cui una pistola. Sì è conclusa nel sangue, intorno alle 4.30 di notte, l'ennesima lite tra i due, iniziata verso mezzanotte, quando il figlio è rincasato e come al solito si è messo a bere, forse avanzando qualche richiesta di soldi. Il giovane era soggetto a scatti d'ira in cui arrivava a distruggere quello che gli capitava a tiro, ma stavolta è stato il padre a perdere la testa.
L'omicidio si è consumato in due tempi, tra la cucina - dove il figlio si sarebbe rifugiato dopo i primi colpi - e l'ingresso dell'abitazione sita in una zona abbastanza centrale della città. Dalla cucina Rocco ha avuto il tempo, la forza e la lucidità di chiamare il 118: «Mio padre mi ha sparato», ha detto al telefono invocando aiuto e fornendo anche l'indirizzo.
L'ambulanza è arrivata in pochi minuti ma l'ha trovato morto in seguito a una seconda scarica di fucile. Non è chiaro se la moglie, Bruna, di 52 anni, e la domestica, prima di chiedere aiuto ai vicini, siano riuscite a disarmare il marito che comunque ha messo mano a un secondo fucile.
La polizia, allertata dai soccorritori, non ha avuto difficoltà ad arrestare il metalmeccanico abruzzese impiegato in una ditta che ripara ascensori: dopo aver ucciso il suo unico figlio maschio, l'uomo non ha opposto resistenza e si è messo a disposizione degli uomini della Squadra mobile pescarese guidata dal commissario Nicola Zupo, a cui ha raccontato il suo lungo calvario familiare.
Nell'ammettere il suo gesto l'uomo ha ripetuto: «Non ce la facevo più».
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