Coronavirus

Spazi chiusi e cervelli arrugginiti

Partiamo dall'ottimismo: la sciagura del Covid porterà anche qualcosa di buono alla cultura. In tutto il mondo scrittori, pittori, registi, architetti, studiosi, artisti di ogni genere e importanza sono chiusi in casa da un anno

Spazi chiusi e cervelli arrugginiti

Partiamo dall'ottimismo: la sciagura del Covid porterà anche qualcosa di buono alla cultura. In tutto il mondo scrittori, pittori, registi, architetti, studiosi, artisti di ogni genere e importanza sono chiusi in casa da un anno, oppressi come tutti dalla situazione ma finalmente liberi dalla parte non creativa del loro lavoro: conferenze, dibattiti, spostamenti per fare presenza e tutte le noie ordinarie. È facile immaginare che si siano dedicati molto di più alla creazione, e che presto vedremo un fiorire di belle opere, belle imprese, bei libri che altrimenti non sarebbero nati, o avrebbero tardato.

Quanto ai lamenti, ne abbiamo a disposizione un paniere pieno, limitiamoci al concreto. Cinema, teatri, musei, spettacoli hanno perso più o meno l'80% del fatturato, che a dirla così è una cifra asettica, rende meglio l'idea un esempio: supponete di avere uno stipendio di 3mila euro e che vi venga ridotto a 600, poi stabilite se non pagare luce o gas o telefono, se rinunciare al pranzo o alla cena, della colazione non si parla neppure.

È ovvio che dopo le maledizioni alla pandemia arrivi il «Piove, governo ladro», talmente ovvio che me ne astengo, in una vicenda simile era difficile non commettere errori. Colpisce, piuttosto, la disarticolazione mentale per cui fino al marzo dell'anno scorso eravamo un Paese, un popolo, che non andava nei musei, nei teatri, nei cinema, nelle biblioteche, e per questo ci battevamo il petto chiedendoci come avremmo potuto accrescere le frequentazioni di luoghi ignorati dai più. D'improvviso, nell'immaginario governativo, sono diventati posti affollatissimi, dove la gente si accalca come davanti al banchetto dei gelati in una domenica d'agosto. E infatti poi si è stabilito che, sì, il gelato-museo potete averlo nei giorni di lavoro, ma non il sabato e la domenica.

Bastava pensare che grande parte dei musei, teatri ecc. avevano le sale semivuote già prima, figurarsi con una pandemia e una crisi economica in corso. In più sono luoghi dove è facile regolare flussi e distanze, proprio come a scuola. Ma i tutori Conte, Speranza e tecnici hanno voluto considerarli alla stregua di stadi e aperitivi.

Adesso Draghi ha detto l'ha detto chiaro che «la ripresa delle attività culturali è ancora più importante della ripresa economica». Ha ragione, perché se si arrugginiscono i cervelli, si inceppa tutto il resto. Draghi ha studiato dai gesuiti, conosce bene il peso delle parole, non può averle buttate là.

Gli voglio credere.

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