«Una specie di storia d’amore» Arthur Miller scopre il passato

Viviana Persiani

Debutta martedì all’Out Off in prima nazionale Una specie di storia d'amore, spettacolo che racchiude due atti unici scritti in momenti differenti da Arthur Miller e raccolti, sotto il titolo originale del primo dei due da Lorenzo Loris, che dirige i due interpreti Elena Callegari e Mario Sala. È lo stesso regista a spiegare il perché della sua scelta e la peculiarità del testo.
Entriamo nel dettaglio.
«In "Una specie di storia d'amore" protagonista è un detective privato che interroga una donna per capire se un uomo è stato condannato a torto oppure no. Si tratta di un atto morboso dove l'investigatore, con un passato amoroso, vive un conflitto tutto mentale nella sua testa, tanto da far venire il dubbio sulla reale esistenza della donna».
Passiamo al secondo atto, «Non mi ricordo più niente».
«I protagonisti sono due vecchietti che vivono da soli in case vicine dello stesso quartiere. Ogni sera, si ritrovano a cenare, intorno allo stesso tavolo; a causa della sclerosi, vivono una precarietà fisica che rende instabile, ma comica, anche la loro amicizia. Tanto che in alcuni momenti finiscono per comprendere certe realtà oscure del loro passato. Una cosa che emerge da questo secondo atto è l'implosione del tempo; ovvero, delle esperienze che si impongono al presente sotto una luce nuova, spesso dipinta da un ottimismo e da una positività che si contrappongono nettamente alla corruzione fisica del loro corpo».
La sua regia è stata fedele alle intenzioni dell'autore?
«Spero di sì. Il primo atto, scritto nell'82, è già stato messo in scena mentre del secondo non sono a conoscenza di precedenti allestimenti. Una specie di storia d'amore, ad esempio, è un racconto giallo con la classica ambientazione da film noir hollywoodiani degli anni Quaranta; in tal senso, ho voluto, sulla scena, rispecchiare queste atmosfere attraverso l'utilizzo di una camera di proiezioni e di una superficie rivestita che corre lungo il palco trasmettendo, alla platea, il senso dell'illusione».
Se dovessimo individuare un tema comune che lega i due atti unici, dove cadrebbe la scelta?
«Il fil rouge che, a mio parere, unisce queste due storie è la ricerca della verità. Se il primo lavoro rappresenta una sorta di viaggio appassionato dell'investigatore, coperto dalla maschera dell'illusione, il secondo, invece, è una scoperta improvvisa del vero, nel senso che esso appare per far luce su zone d'ombra del passato dei due vecchietti».
Perché ha deciso di confrontarsi con Arthur Miller?
«Con questo spettacolo ho reso omaggio a questo autore moderno, celebrando anche la drammaturgia contemporanea. Divenuto ormai un classico, ho voluto lavorare con l'opera di Miller dopo essermi misurato, nelle vesti di attore, con Pinter e, soprattutto, al termine di un percorso nell'opera di Tennessee Williams. Mi sono concentrato sul tema della famiglia, affrontato da Miller come nucleo sociale».


Ma in questi due atti la famiglia compare poco.
«In effetti esiste solo in modo indiretto ma si comprende benissimo il degrado, ai giorni nostri, di una istituzione che non rappresenta più un punto di riferimento nella società».

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