Ma speriamo che alla fine l’Italia non vinca

CASI Il Canada, la Spagna, la Grecia e anche Torino insegnano: dopo l’euforia c’è il buco nei conti pubblici

Visti i precedenti c’è da sperare che non vinca nessuno. Roma o Venezia, qualunque sia la candidata dell’Italia per l’assegnazione delle Olimpiadi del 2020 è meglio che perda. Non è disfattismo. È la considerazione che la partita forse è troppo a rischio: ci siamo dimenticati del disastro economico di Italia ’90? Abbiamo già rimosso il caos dei mondiali di nuoto dell’anno scorso a Roma? Per una manifestazione marginale rispetto alle Olimpiadi siamo stati in grado di non indovinarne una: gli impianti finiti all’ultimo secondo, le inchieste della magistratura, i sigilli alle piscine, la vergogna in mondovisione. Con i Giochi olimpici che cosa accadrebbe?
Questa non è mancanza di fiducia, né l’amara analisi su un Paese che s’è fatto umiliare da Ucraina e Polonia nella gara per l’organizzazione degli Europei del 2012 e che solo pochi giorni fa è stato massacrato o quasi dall’Uefa per la candidatura per l’edizione successiva, cioè quella del 2016. Cioè c’è tutto questo, ma non solo questo. La verità è che la domanda alla quale nessuno sa rispondere è: ma ci servono le Olimpiadi? Raccontiamo ogni giorno le difficoltà di un momento economicamente complicato, gli affanni di uno Stato che sta lavorando per evitare il tracollo. Ecco allora perché non dire che i Giochi olimpici rappresentano il rischio di uno sperpero enorme del denaro pubblico. Abbiamo la prova delle Olimpiadi invernali di Torino 2006 e se non ci fosse sufficiente quella abbiamo l’esempio degli altri: in Canada stanno ancora pagando una tassa straordinaria introdotta per coprire la voragine dei giochi di Montreal del 1976. Poi sarà un caso, ma la Grecia ha ospitato le Olimpiadi nel 2004 e oggi piange miseria, la Spagna l’ha fatto nel 1992 e non piange ancora miseria, ma s’avvicina.
Certo, i Giochi sono una festa, cambiano le città, danno lavoro a milioni di persone, sono un veicolo di promozione, ma quando tutto finisce, restano solo i conti da pagare: i posti di lavoro svaniscono, la pubblicità dura solo pochi mesi. Roma è già troppo complicata così: provate solo a immaginare che cosa possa significare sventrarla con dieci anni di lavori pubblici. Venezia idem.

Va bene la pubblicità, va bene anche questa sfida inutile che si poteva evitare: due città dello stesso Paese che si scannano per decidere chi sarà l’immagine dell’Italia nei bussolotti dell’estrazione olimpica sulla ruota del 2020. Ecco, ormai è successo. Oggi si decide. Una o l’altra: partecipi alla competizione senza l’ambizione di vincere. L’importante è partecipare. Meglio per noi, meglio per tutti.

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