Sperimentazione sugli animali, infamie al condizionale

Caro dottor Granzotto, rispondendo alla lettrice Isabella D’Onofrio lei si impegnò a «spulciare» il sito Internet del Parlamento europeo per stanare i «disonorevoli» che hanno votato la direttiva sulla sperimentazione sugli animali, cani e gatti randagi in particolare. Nel caso avesse avuto successo, fornirebbe a noi lettrici e lettori amanti degli animali i risultati della sua ricerca?
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Sì, certo, gentile lettrice, anche se non sono molto soddisfatto dei risultati. Resta confermato in base all’articolo 11 paragrafo 1 secondo comma della risoluzione, che su rane, topi, porcellini d’India, criceti, gerbilli della Mongolia, primati (ovviamente non umani), cani e gatti è consentita la sperimentazione e «la ricerca di base e per la cura di malattie, i test di efficacia dei farmaci, l’insegnamento superiore e le indagini medico-legali». Si legge poi che «poiché gli antecedenti di animali allo stato selvatico o divenuti randagi delle specie domestiche non sono noti e la loro cattura e detenzione negli stabilimenti ne accresce l’angoscia, essi non dovrebbero essere usati nelle procedure». L’uso dell’ipocrita, mascalzonesco condizionale in luogo del presente indicativo lascia ovviamente mano libera e pertanto la vedo brutta per cani e gatti randagi. E a proposito di condizionali, senta qua: «I metodi scelti dovrebbero, per quanto possibile, evitare come punto finale la morte dovuta alle gravi sofferenze causate». Dando dunque per scontate le gravi sofferenze, la morte dovrebbe essere evitata «per quanto possibile». Ma si può? Il suggello a una direttiva alla carlona, tutto fumo di buone intenzioni e alcun arrosto che in pratica lascia campo libero alla sperimentazione «dura» sugli animali è la raccomandazione finale: «Per permettere alle autorità competenti di monitorare il rispetto della presente direttiva, se possibile ogni stabilimento dovrebbe registrare con cura il numero di animali, la loro origine e la loro sorte». Se possibile. Dovrebbe. Ma a questo punto non potevano, gli europarlamentari, sintetizzare la legge in un semplice semplice: «Fate quello che vi pare»?
Comunque, è andata come è andata, gentile amica: con soddisfazione degli onorevoli parlamentari europei, la risoluzione è passata alla grande. Impossibile, nonostante i suoi continui richiami alla trasparenza, trovare nel sito dell’Unione europea il dettaglio del voto. A dire la verità, nemmeno il risultato finale, quanti «sì», quanti «no» e quanti «astenuti» (e meno che mai il numero dei presenti in aula, probabilmente perché, al solito, semideserta). Dobbiamo quindi accontentarci delle dichiarazioni di voto di cinque nostri europarlamentari. Votando «sì» l’onorevole Giancarlo Scottà, della Lega, ha aggiunto che il testo della risoluzione «trova un punto di equilibrio che permette di utilizzare metodi che provocano il minor dolore possibile». Altro che ha votato «sì» è Paolo De Castro, del Partito democratico, il quale ha anche sbarrato la strada ai parlamentari che richiedevano un ulteriore riesame del testo. Elisabetta Gardini, pidiellina, ha votato «sì» perché «purtroppo, la ricerca sugli animali resta fondamentale». Un «no» è venuto dalla dipietrina Sonia Alfano che aveva chiesto, inascoltata, il rinvio del testo («che permette l’esperimento per scopi didattici e il riutilizzo degli animali anche con metodi che provocano dolore») in Commissione parlamentare.

Infine Cristiana Muscardini, pidiellina anch’essa, ha espresso in aula la speranza che la risoluzione sia presto rivista per «smettere di esercitare esperimenti inutili e ripetitivi». Sembrerebbe un «no», ma potrebbe essere anche un «sì» con riserva.

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