«Sperimentiamo i custodi anti-terrorismo»

«Chiederò al prefetto di trovare una soluzione comune con i privati»

Sabrina Cottone

nostro inviato a New York

L’immagine è tra le più classiche di New York: una guardia in divisa che protegge l’ingresso di casa. Entrare in un palazzo senza esibire documenti, consegnare firme, senza essere annunciati e presentati è un’impresa impossibile. È così da sempre, almeno nelle abitazioni di lusso. Ma se una volta i delinquenti erano comuni e i controlli elastici, adesso a centuplicare l’attenzione e a moltiplicare i rischi c’è l’allarme terrorismo. E lo Stato di New York sta sperimentando una legge, datata agosto 2005 e che diventerà pienamente operativa nel 2006, che concede sgravi fiscali ai condomìni che fanno frequentare alle proprie guardie programmi di esercitazione alla sicurezza.
Il metodo è stato raccontato nei dettagli negli uffici della Sicurezza interna dello Stato di New York (al quale fanno capo la polizia e i servizi di sicurezza della città e dello Stato) dal vice direttore del dipartimento, Marc Cohen, durante un incontro con Riccardo De Corato, subito pronto a rilanciarlo in città: «Si può fare anche a Milano, a partire dagli stabili del Comune. Il sistema dei vigilantes è buono perché consente di passare in ricognizione ciò che accade non soltanto all’interno dell’edificio ma anche all’esterno, nelle strade circostanti. Anche noi possiamo studiare una detrazione dell’Ici o di altre tasse comunali a fronte di un servizio di sicurezza di questo tipo».
Il progetto venuto alla luce in questi giorni prevede un incontro con i responsabili dell’Anaci: «Gli amministratori di condominio hanno un pieno controllo della situazione e creare un coordinamento a tutela della sicurezza darebbe buone garanzie». Gli stabili privati a Milano sono 53mila contro i 1.500 del Comune. «Chiederò al prefetto di valutare la situazione e trovare una soluzione comune», annuncia De Corato.
Naturalmente gli ostacoli non mancano ed è lo stesso vicesindaco a non nasconderli. Innanzitutto c’è un problema di burocrazia perché «il percorso di organizzazione di un sistema simile è molto lungo». E poi, ma non di minore importanza, rimane da affrontare la questione della mentalità, che in Italia è molto diversa rispetto agli Stati Uniti, dove si è da sempre abituati a pensare anche in termini di autodifesa: «A Milano prevale una mentalità di paura e non di prevenzione. Un portiere a cui si chiede di collaborare, cosa che accade naturalmente negli Stati Uniti, tende a sentirsi investito da timori più che da responsabilità. Ti rispondono: “Io lavo le scale, non mi metto in queste cose”».
In conclusione, secondo De Corato «manca la sensibilità», anche se qualche turno di esercitazioni potrebbe aiutare a risolvere il problema. I programmi di training previsti dalla legge americana hanno obiettivi molteplici. Come recita il testo, per accedere agli sgravi è necessario frequentare corsi per «migliorare la capacità di osservazione, investigazione e denuncia (delle guardie degli stabili), accrescere il coordinamento con la polizia locale, i servizi di emergenza e antincendio, offrire e perfezionare capacità e conoscenze operative della tecnologia di sicurezza più avanzata inclusi i sistemi di sorveglianza e le procedure di controllo dell’accesso; richiedere almeno quaranta ore di training incluse tre ore specificatamente dedicate all’antiterrorismo».
Per applicare la legge sono stati stanziati 5 milioni di dollari. «Una cifra esigua che serve solo per la sperimentazione» spiega Cohen.

Allo studio sono anche i corsi, che saranno organizzati da agenzie private specializzate, assistite dai dipartimenti di polizia, che aiuteranno a stendere e verificare i programmi. «Un progetto impegnativo e oneroso con il grande vantaggio di avere un controllo del territorio dal basso» conclude De Corato. E se diventasse realtà, anche Milano avrebbe le sue guardie davanti ai palazzi.

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