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"A 71 anni ritorno a cantare il rock duro. La morte di Lemmy mi ha salvato dai vizi"

L'ex leader dei Vanadium: "Ho pensato di colpo a quanto la vita sia preziosa"

"A 71 anni ritorno a cantare il rock duro. La morte di Lemmy mi ha salvato dai vizi"

Per fare rock, non si è mai tirato indietro. I segni, alla fine, se li porta addosso, come uno di quei pirati romantici, con più cicatrici che forzieri colmi di dobloni. «Se sono qui è perché sono sempre stato un gran lavoratore e perché ho saputo smettere con i vizi al momento giusto». C'è da credere a Pino Scotto, ex frontman dei Vanadium, artista che non ha mai fatto passi indietro rispetto alle contaminazioni, ma che ora torna felice all'hard rock per il quale ha sempre conservato una devozione particolare. Lo fa con un nuovo album dal titolo aggressivo come un riff di chitarra distorta: Dog Eat Dog (già disponibile), undici brani inediti e una cover dei Vanadium, Dont' Be Looking Back.

«Cane mangia cane»: perché un titolo così duro?

«Perché lo scopo del rock è far riflettere sui lati meno piacevoli della società in cui viviamo».

Ad esempio questi da coronavirus che stiamo vivendo?

«È un periodo che ci pone davanti a contrasti netti: c'è generosità e c'è egoismo. Sono molto legato a un brano del disco, Don't Waste Your Time. Ha un tono che oggi potrebbe sembrare profetico, anche se l'ho scritto per altri motivi: attendevo l'esito di alcuni esami ed ero preoccupato per la mia salute, mi sono chiesto cosa succederebbe se Dio decidesse di riversare sull'umanità la sua rabbia e all'uomo non restasse più molto da vivere. Non gettare via il proprio tempo, ecco l'unica speranza. Dare un senso a ogni secondo. Fino a oggi penso di averlo fatto.

Ci faccia un esempio.

«Bè, per fare rock mi sono letteralmente ammazzato di fatica: per trentacinque anni di giorno ho fatto lo scaricatore in fabbrica e la notte correvo ad esibirmi, non importa a quanti chilometri di distanza. Ora, a settantuno anni suonati, sono ancora qui a fare musica».

Come ha vissuto questo ritorno al rock duro?

«In modo naturale, in fondo è casa mia. In passato non ho titubato di fronte alle contaminazioni di genere: ho felicemente collaborato con amici e colleghi come Caparezza e Club Dogo. La musica non ha confini, e non è un luogo comune».

Prima parlava di salute: quando e come si è messo in riga?

«Non saprei dire il momento preciso, anche se partiamo da circa cinque anni fa, quando ci lasciò Lemmy Kilmister dei Motörhead, mio grande amico, che ho sempre sentito regolarmente. Ho pensato di colpo a quanto la vita sia preziosa. Da un giorno all'altro ho smesso con le cattive abitudini: fumavo fino a tre pacchetti di sigarette al giorno. Senza contare gli altri eccessi».

Come vive un metallaro in cattività, tra quattro mura di casa?

«La prigionia stimola. Ora io e i miei collaboratori stiamo pensando al tour, che prima o poi, sono ottimista, partirà. Qualche settimana fa pensavamo a fine aprile, ma ora chissà».

Sui talent show musicali non ha cambiato idea?

«Nemmeno un po'. Roba come X Factor fa solo male ai giovani artisti. In un anno sono abituato a fare centoventi concerti, perché da lì, dalle strade percorse, io vengo.

Con questi ragazzini che fanno? Per una stagione li fanno sentire delle star, poi finiscono nel nulla».

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