Venezia 2020

Aida, una madre più forte dell'inferno di Srebrenica

La bosniaca Jasmila Zbanic racconta la strage che avvenne sotto gli occhi dell'Europa e dell'Onu

Aida, una madre più forte dell'inferno di Srebrenica

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Venezia. L'impegno politico, il punto di vista femminile, la guerra, la tragedia dei popoli, l'orrore dei nazionalismi. Ha tutto quello che serve Quo vadis, Aida?, opera in concorso di Jasmila Zbanic, regista bosniaca quarantacinquenne, decisa e determinata dentro e fuori dal set, per piacere al pubblico degli spettatori forti e, molto probabilmente, alla giuria di Venezia77. Ieri il film è stato accolto con un applauso composto ma lungo in Sala Grande. «È tutto vero» ha gridato qualcuno dalle prime file. Qualcun altro era visibilmente commosso. E infatti Quo vadis, Aida? un atto di riparazione, a 25 anni dai fatti, all'oblio che buona parte dell'Europa e alle bugie che certa politica hanno riservato al massacro di Srebrenica, il genocidio di ottomila musulmani bosniaci perpetrato dalle truppe serbe del generale Ratko Mladic è uno di quei film in cui la forza del tema vince sulla messa in scena. Dove il cosa viene raccontato finisce inevitabilmente con l'imporsi sul come. Un come qui, peraltro, scelto con intelligenza: gli eventi sono narrati da una donna, una interprete in forza all'Onu (e proprio la capacità di parlare più lingue le consente un accesso privilegiato negli spazi e negli eventi che determineranno il futuro suo e quella della sua famiglia), il che fa sì che tutto il film sia parlatissimo, a volte persino didascalico, sottolineato, per forza di cose ripetuto per via della traduzione da una lingua all'altra... Così che forse la parte più sincera, cinematograficamente, rimane il finale, completamente silenzioso, che si scioglie nel ritrovamento dei corpi della strage e dei gesti dei bambini nell'aula scolastica in cui si ritrova a insegnare, tanti anni dopo, Aida (Jasna Djuricic, bravissima), la ex interprete tornata a fare la maestra nella sua città.

E così la regista-sceneggiatrice Jasmila Zbanic, già Orso d'Oro a Berlino nel 2006 con Il segreto di Esma, torna nella sua Bosnia, a ricucire le ferite, studiare le testimonianze delle varie parti coinvolte, leggere gli atti dei processi dei Tribunali internazionali, e rimettere insieme i pezzi della guerra infinita nei Balcani.

Quo vadis, Aida? Risposta: dovunque serva, pur di provare a salvare il marito e i suoi due figli, in quei pochi giorni di luglio, 1995, in cui Srebrenica - dimenticata da Dio e dagli alti comandi dell'Onu si trasforma in un inferno in terra. Gli Scorpioni del generale Mladic (che nel 2017 è stato condannato dal tribunale dell'Aja come criminale di guerra), conquistata la città, entrano impunemente in quella che era stata dichiarata Zona protetta, sotto la tutela di un contingente olandese dell'Onu impreparato, sotto ricatto e inascoltato dai vertici in Europa, tutti in vacanza... - scatenando la peggiore delle vendette e il più sanguinoso odio etnico. I maschi dai 12 ai 77 anni (con la collaborazione dei Caschi blu, che subirono pesantissime accuse da parte dei media al ritorno in patria) furono separati dalle donne, dai bambini e dagli anziani, caricati su vecchi autobus, portati in un altro luogo, apparentemente per essere interrogati, in realtà per essere uccisi e poi sepolti in fosse comuni. «Solo perché riteniamo che alcune cose siano inimmaginabili, non significa che non possano accadere», ci dice Jasmila Zbanic. E non perché le cose accadute sono orribili il cinema non può raccontarle.

La «Lista delle persone scomparse o uccise a Srebrenica» compilata da una Commissione bosniaca incaricata di indagare sul massacro contiene 8.372 nomi. Soltanto nel 2015 settemila salme furono ritrovate, riesumate e identificate grazie agli oggetti personali rinvenuti o in base al Dna.

Il film, aprendo il quale la regista ci avvisa che «Molti momenti sono veri, non tutti», e che è impeccabile nella ricostruzione d'ambiente, e nelle scene di massa (per le quali sono state utilizzate più di 6mila comparse), è ispirato alla storia vera di un traduttore bosniaco e dedicato alle madri di Srebrenica. Come Aida. La quale, in fondo, trascende gli orrori che hanno insanguinato i Paesi della ex Jugoslavia. Ciò che la donna compie instancabilmente, nel momento più tragico della sua vita, lungo due ore di film, per tentare contro tutti e tutto di salvare i propri figli, con una forza che supera qualsiasi convinzione ideologia o credo religioso, finisce con il renderla universale.

E la più bella delle madri.

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