Cultura e Spettacoli

"Altro che re della giungla. Siamo scimmie egoiste e ci autodistruggeremo"

Il biologo: "Destinati a estinguerci, ma non ora. La pandemia è legata alla sovrappopolazione"

"Altro che re della giungla. Siamo scimmie egoiste e ci autodistruggeremo"

Nicholas P. Money, professore di Biologia e direttore del Western Program alla Miami University di Oxford, in Ohio, è un esperto di funghi (la sua specializzazione è la micologia) e del mondo dei microbi. Il suo rammarico, mentre parla in collegamento Skype dal salotto di casa, a proposito del suo libro più recente è proprio quello di «non aver parlato di virus, di cui ho scritto moltissimo in passato». In compenso, in La scimmia egoista (ilSaggiatore, pagg. 194, euro 17; traduzione di Elisa Faravelli) affronta un tema quanto mai attuale in questo momento: «Perché l'essere umano deve estinguersi». «Eh sì - dice - Una questione assolutamente seria».

Perché la scimmia egoista - cioè l'uomo - è destinata a estinguersi?

«A causa del suo egoismo verso l'ambiente e della sua relazione con gli animali non umani. Oggi, in riferimento alla pandemia, il messaggio del libro rimane comunque importante».

Che cosa ci dicono le pandemie del nostro posto nel mondo?

«Durante la peggiore pandemia della storia, la peste nera del Trecento, a seconda delle fonti sarebbe morto circa il quaranta per cento della popolazione europea, nell'arco di vari anni. Per secoli poi c'è un calo drammatico nella curva demografica; ma, a un certo punto, la curva torna a impennarsi. E questo ci porta ad affrontare il tema della crescita della popolazione».

Un tema cruciale.

«Più la popolazione cresce, più consumatori ci sono: ci sono sempre più persone che vogliono una vita di benessere, con mezzi di trasporto internazionali veloci. Io stesso, per esempio, sono un consumatore terribile, o meglio lo ero, prima del lockdown... Il punto è che, più ci sono esseri umani, più noi consumiamo: e il danno è inevitabile».

Proprio inevitabile?

«La caduta è predestinata, in senso biologico: siamo una specie che sfrutta, danneggia l'ambiente e tende a essere molto egoista».

Eppure abbiamo dei lati molto positivi, unici. O neanche quelli?

«Se guardiamo alla nostra biologia, al nostro posto nell'universo e a come il nostro corpo funziona e si sviluppa, certo possiamo dire che siamo una specie notevole, peculiare, ma non che siamo meglio dei gatti, o dei cani. Qualsiasi argomento di presunta superiorità è un circolo vizioso, perché quelle caratteristiche, come la capacità di comunicare, si ritrovano anche in natura».

Parla di Homo Narcissus. È una contrapposizione all'Homo Deus di Harari?

«Certo. Per decenni abbiamo parlato di quanto siamo fantastici, di quanto siamo diversi dagli altri animali e abbiamo esaltato i nostri risultati... E ora siamo tutti in quarantena, chiusi in casa».

Però questa è una circostanza del momento.

«È vero. La scienza ci ha dato una grande capacità di penetrare nel modo in cui funzionano l'universo e la biologia, ma noi per tutta risposta distruggiamo l'ambiente. E il pianeta è in pericolo, anche ora».

A proposito di scienza, questa pandemia è un segno del suo fallimento? Oppure dovremmo dire, al contrario, che è solo grazie alla scienza che stiamo resistendo?

«In questo momento, la scienza è la nostra salvatrice. Sia che venga sviluppato un vaccino, sia che si trovi un metodo per individuare il virus, tutto viene dalla scienza: non abbiamo un'altra risposta efficace per combattere il virus. Le scienze sociali possono dirci come la pandemia cambia le nostre interazioni, ma la salvezza, se si trova da qualche parte, si trova nella scienza».

Che cosa c'entra la pandemia con il nostro egoismo?

«La pandemia dice del nostro egoismo nelle relazioni con gli animali, se è vero, come sembra, che sia nata in Cina, in uno di quei mercati in cui si vedono animali vivi, e c'è contatto con essi. E questo dipende dal fatto che la crescita della popolazione esercita una pressione enorme sull'ambiente naturale e sulle risorse alimentari disponibili».

Questo succedeva anche in passato?

«Certo, anche nel Trecento la peste si diffuse in un momento in cui la densità della popolazione era elevata. La storia si ripete. Allora, però, la nostra comprensione della malattia era inesistente e l'unica arma era isolarsi. Anche oggi ci isoliamo però, grazie alla scienza, possiamo ottenere una mappatura genetica del virus e capire da dove sia arrivato».

Nel libro scrive che ai microbi poco importa, del fatto che noi siamo al vertice della catena alimentare...

«È così. Noi crediamo di essere i predatori numero uno, ma il Coronavirus sembra essere un predatore molto più efficace».

Dobbiamo avere paura dei microbi?

«Viviamo in un pianeta di microbi, la maggior parte della biologia è microbiologia. Se guardiamo alla storia umana e dell'evoluzione della specie, noi siamo soltanto un prodotto recente dell'evoluzione, mentre i microbi sono qui da un'eternità. La nostra pelle è coperta di microbi, dentro di noi i microbi operano in modo cooperativo, insomma le nostre interazioni con i microbi sono perlopiù positive, ma ci sono circostanze in cui la relazione è sbilanciata ed emergono dei patogeni pericolosi, come il Coronavirus».

Il fatto che un microbo possa sconfiggerci è una prova della nostra debolezza?

«Il fatto che un microbo, qualcosa di invisibile, una cosa davvero minuscola, possa rovinare la nostra vita, dimostra il suo stesso potere su di noi; e, d'altra parte, ci ricorda che noi ci consideriamo i re della giungla, ma basta un microbo a rovinarci la vita... Batteri, virus e funghi sono ovunque, sono molto più potenti di noi, e ci sorpasseranno lungo la via dell'eternità».

Che cosa pensa della nostra estinzione, a questo punto?

«Credo che, benché questo virus sembri così letale e terribile, non sarà la causa della nostra estinzione. E che, una volta superata la pandemia, torneremo a tormentare l'ambiente tanto quanto prima e, alla fine, il pianeta diventerà invivibile per noi.

Sono molto più preoccupato per il futuro, che per l'oggi».

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