"Amy odiava la droga Suo marito l'ha rovinata"

Mitch Winehouse pubblica la biografia della popstar a un anno dalla morte. "Dopo le overdose, gli spacciatori le portavano coca in ospedale nascosta nei fiori"

"Amy odiava la droga Suo marito l'ha rovinata"

Ma che amore di papà. Dopo aver pianto tutte le lacrime del mondo per la morte della figlia, adesso scrive tutte le pagine possibili su di lei. Amy, mia figlia è il libro che Mitch Winehouse pubblica caldo caldo proprio un anno dopo che la figlia è stata trovata morta nella sua casa di Londra. 23 luglio. Il libro, che è gonfio di ben 341 pagine ed è in commercio da oggi (da domani in Italia per Bompiani), non rivela granché di inedito. Ma lo condisce di succosissimi dettagli (e persino lettere) che arricchiscono il profilo di una grande cantante diventata l’ultima icona del pop. Talentuosa. Dotatissima. Maledetta.

Naturalmente, è un libro che fa gola e quindi le anticipazioni hanno iniziato a sgocciolare un po’ dappertutto. Sul sito del Daily Mail (www.dailymail.co.uk) è apparsa pure una macedonia riassuntiva, una sorta di best of del librone scritto da Mitch che inizia con la morte («“Devi venire a casa, devi venire a casa”. Il mondo mi crollò addosso: “È morta?”, chiesi. E la risposta fu: “Sì”») e poi finisce con le cause della morte di sua figlia: «Non aveva assunto sostanze illegali. Ma il livello alcolico nel sangue era molto, molto elevato: 416 milligrammi di alcol ogni cento millilitri di sangue. Il medico che fece l’autopsia disse che 350 milligrammi di alcol sono già considerati mortali». In mezzo ci sono i ricordi di questo tassista londinese con i capelli bianchissimi e un girovita importante, separato nel 1993 da Janis, testimone dell’epopea di sua figlia e ora testimonial della cara estinta: ha creato la Amy Winehouse Foundation, l’ente che aiuta i giovani tossicodipendenti al quale andranno tutti i ricavi del libro. L’impressione, anche leggendo quel poco che finora si può leggere, è che l’ex tassista abbia fatto una lunga corsa intorno alla vita della figlia senza mai raggiungerne il cuore. Sensazioni, per carità. Opinabili, quindi. Amy, mia figlia è una compilation di ricordi ma non un ritratto dell’anima di una delle cantanti distintive di questa epoca. Racconta, ad esempio, aneddoti dell’infanzia (il primo compleanno della già irrequieta Amy, le turbolenze adolescenziali alla Sylvia Young Theatre School da dove, chiarisce papà, Amy «non fu mai espulsa» nonostante lei stessa lo abbia ripetutamente confermato). E poi l’incontro con la droga. Ovviamente a causa del fulmineo marito, e altrettanto fulmineo ex, Blake Fielder Civil. «Benché Amy fumasse cannabis, è sempre stata contro le droghe pesanti. Blake Fielder Civil cambiò tutto» scrive papà senza neppure l’ombra di un dubbio. Colpa degli altri. Vabbé.

Anzi, in un prevedibile picco d’orgoglio paterno, Mitch spiega pure che l’album di Amy che gli piace di più è ovviamente il primo, ossia Frank: «Back to black non mi piace tanto come Frank. E questo per un solo motivo: tutte le canzoni, a parte Rehab, parlano di Blake». Tra l’altro, per capirci, non è che Blake abbia mai smentito le proprie responsabilità. Anzi, testuale: «Ho portato Amy sulla strada delle droghe e non c’è dubbio che, senza di me, non l’avrebbe mai imboccata». Si sono conosciuti a inizio 2005, sposati a Miami nel maggio 2007 (Amy «mi telefonò: “Papà ci siamo appena sposati. Non mi fai le congratulazioni?”. Non avevo parole. Ho fatto finta che la linea fosse disturbata e ho riagganciato»), e divorziati nell’ottobre 2009. Neanche tre mesi dopo le nozze, ecco la prima overdose: «Probabilmente crack cocaina». Quando Amy Winehouse iniziò il tour inglese alla Birmingham National Indoor Arena «stava già bevendo di brutto». «Il pubblico la fischiò». Da lì è iniziato il vero calvario di collassi, lacrime, morte. Dopo l’ennesima overdose, fu portata alla London Clinic dove il padre si accorse che gli spacciatori portavano droga nascosta prima in un mazzo di fiori e poi in un orsacchiotto di peluche. «Amy diventò matta quando scopriì che avevamo intercettato le dosi». Non si riprese mai più. L’isolamento. Il disastroso concerto di Belgrado.

L’ultima chiacchierata con papà un mese prima della fine: «L’ho tenuta tra le mie braccia per un’ora».

Poi sabato 23 luglio. «Devi venire a casa» gli disse Andrew della security. «È morta?». «Sì». Se ne era andata sola come un cane, zeppa di alcol e vuota d’amore.

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