Ha vestito i panni di personaggi amati dal grande pubblico, si è messo in gioco con progetti rischiosi e ha sempre avuto ragione. Protagonista in questi giorni al Lucca Film Festival in qualità di giurato, Andrea Sartoretti è tra gli attori più interessanti del panorama italiano. Dal “Bufalo” di “Romanzo criminale” allo sceneggiatore di “Boris”, fino alla straordinaria interpretazione in “Monte” di Amir Naderi, premiata ai Nastri d’argento 2017. Di questo e di molto altro ha parlato ai nostri microfoni.
Tra i tanti personaggi, il “Bufalo” di "Romanzo criminale" è stato il ruolo della vita?
“Non è il personaggio della vita, perché nella vita di un attore ogni personaggio diventa un parente. È stato sicuramente un personaggio importante, perché anche 'Romanzo criminale' mi ha dato la possibilità di continuare a fare questo mestiere. Io, come il regista della serie e gli altri attori, ho avuto la fortuna e il grande privilegio di fare parte di una produzione che ha cambiato la televisione. Prima di ‘Romanzo criminale’ eravamo abituati a una qualità e una serialità che conosciamo bene. ‘Romanzo criminale’ è stata una Porta Pia della televisione, ha portato il cinema in televisione”.
Ha mai avuto paura di essere ricordato solo come il “Bufalo”?
“In realtà sta all’attore stesso dimostrare che non è così. Mi scuso anche solo per l’esempio che sto per fare: è come se uno chiedesse ad Al Pacino se gli dà fastidio di essere ricordato soprattutto per ‘Scarface’. Il pericolo ci sarebbe stato se avessi fatto un personaggio in una serie che non mi piaceva, con qualità bassa. Quello mi avrebbe danneggiato e dato molto fastidio, ma sinceramente essere ricordato per aver partecipato a una serie che è entrata nella storia della tv… Mettiamola così: tornassi indietro, lo farei immediatamente, non scherziamo (ride, ndr)”.
Anche perché lei ha interpretato personaggi diversi in prodotti agli antipodi, basti pensare a “Boris”…
“Io ho avuto la fortuna di fare tre cose molte vicine con tre personaggi totalmente diversi: ‘Squadra antimafia’, ‘Boris’ e ‘Romanzo criminale’. Mi hanno dato la possibilità di suonare tre strumenti diversi e sono andati tutti molto bene. Con ‘Boris’ c’è stata la possibilità di usare il set televisivo per raccontare un’Italia claudicante, in tutti i suoi difetti, grazie ad una scrittura intelligente e comica”.
Tra un mese arriverà su Disney+ la quarta stagione di “Boris”: come è stato tornare sul set e ritrovarsi dopo tanti anni?
“In realtà è stata la cosa più semplice. La maggior parte degli attori di ‘Boris’ li frequento quotidianamente, per cui per me non è cambiato molto (ride, ndr). Io andavo a scuola insieme al regista Giacomo Ciarrapico, a Pietro Sermonti e a Mattia Torre: la sua morte è stata un dolore infinito per tutti noi. Siamo cresciuti insieme. Frequento sempre Massimo De Lorenzo, Caterina Guzzanti e Carlo De Ruggieri. Ci vediamo spesso, insomma. A livello lavorativo, dopo il primo ciak la sensazione è che non fossero passati dieci anni dall’ultima volta”.
Come spiega l’incredibile successo “postumo”?
“Tutti pensano che ‘Boris’ abbia avuto successo fin da subito. In realtà, il successo è arrivato a scoppio ritardato. ‘Boris’ non era molto visto su Fox. Anzi, è diventato quello che è diventato grazie o per colpa della pirateria. La maggior parte degli appassionati non aveva visto la serie su Sky, ma in maniera illecita (ride, ndr). Da lì è diventato virale. Le persone hanno iniziato a fermarci per strada in maniera abbastanza assidua dopo due anni e mezzo dalla prima serie. Lì abbiamo capito tutto (ride, ndr)”.
Pensando a una serie come “Boris”, il politicamente corretto quanto influisce nell’arte al giorno d’oggi?
“È terribile, è massacrante. Non ha senso di esistere. È un modo edulcorato di definire la censura. Il politicamente corretto è ipocrisia, non ha senso. ‘Boris’ è un esempio: grazie al suo cinismo e alla sua libertà riesce a toccare argomenti molto importanti. A volte è mostrando il cinismo del mondo che tu lo combatti, è mostrando le ingiustizie del mondo che crei una denuncia. Non parlarne, alimenta il male del mondo. Il politicamente corretto è una moda, passerà anche questa”.
Ripercorrendo la sua carriera, il momento più bello?
“Quando ho iniziato a lavorare. Io sono andato via di casa a 21 anni, facevo due lavori per mantenermi il lavoro dell’attore. Io lavoravo al mattino per una galleria d’arte e al pomeriggio per la Lipu, come segretario. Grazie a quei due lavori, potevo mantenere il lavoro dell’attore. Con i ragazzi di Boris - Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Massimo De Lorenzo e Carlo De Ruggieri – ci autoproducevamo, scrivevamo i testi, li mettevamo in scena e alla fine del mese andavamo a brindare quando riuscivamo a non andarci sotto (ride, ndr). Quando andavamo a pari, era motivo di festa. Abbiamo iniziato a guadagnare col teatro… forse mai (ride, ndr). I primi soldi li abbiamo visti quando un teatro ha deciso di produrci, con 800 euro a testa per uno spettacolo di un mese”.
Un rimpianto?
“Io ho la fortuna di essere anche madrelingua francese e amo il cinema francese. È un rimpianto a metà in realtà, perché potrei tranquillamente lavorare in Francia in futuro”.
Con chi le piacerebbe lavorare in futuro?
“Ci sono autori italiani interessanti. Mi piacerebbe lavorare con il nuovo cinema italiano, con gli autori più interessanti. Il sogno nel cassetto è fare un film con Aki Kaurismäki. Anzi, gli mando un messaggio tramite te: ‘Un film con te lo faccio anche gratis’ (ride, ndr)”.
Tra i tanti film della sua carriera, impossibile non citare “Monte” di Amir Naderi. In una sola parola, bellissimo...
“Quel film mi ha dato tantissime soddisfazioni. Non è un film facile, non nasce per il botteghino, ma mi ha fatto girare il mondo. È stato proiettato in Francia al Centre Georges Pompidou di Parigi e negli Stati Uniti d'America nella prestigiosa rassegna cinematografica del MOMA, il Museo d'Arte Moderna di New York. Mi ha dato molte soddisfazioni professionali, ma anche umane. Ho conosciuto Amir Naderi, straordinario. Una persona che vive per il cinema e che morirà per il cinema: io credo che il suo sogno sia morire sul set. Nella sua vita non ha fatto altro che combattere per fare film. È partito dal nulla: orfano, nato ad Abadan, dove è cresciuto in una nave abbandonata. Ed è finito a Cannes e a Venezia, facendo il suo cinema”.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
“Oltre a ‘Boris’, a novembre uscirà ‘Il principe di Roma’ di Eduardo Falcone e ora sono sul set del nuovo film di Annarita Zambrano”.
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