Anni Sessanta

La voce tenorile educatamente morbida di Stevie Wonder colora una melodia leggera; l’enfant prodige del gospel soul di Detroit canta in italiano Se tu ragazza mia, un pezzo scritto da Gabriella Ferri insieme al fratello. Non è una spudorata trovata di marketing; è un fotogramma dal Festival di Sanremo 1969 - dove Wonder gareggiò in coppia con la Ferri -, ma soprattutto una delle chicche del doppio cd Motown Around the World che riporta alla luce i classici del soul anni Sessanta rivissuti dagli interpreti originali in versione italiana. Da noi accadeva esattamente il contrario; gli autori prendevano le canzoni angloamericane, le vestivano con un testo che non c’entrava nulla con l’originale e le trasformavano in successi da classifica. All’epoca, ad esempio, pochi sapevano che Bandiera gialla di là dall’Oceano era The Pied Piper e l’elenco potrebbe continuare all’infinito. Questo curioso cd mostra una piccola inversione di tendenza. La Motown, miliardaria fabbrica di successi «black» guidata dal mitico Berry Gordy, nel 1963 decide di conquistare l’Europa. Alla faccia della purezza della musica nera, prende artisti di punta come Wonder, le Supremes di Diana Ross, i Four Tops, i Temptations e li fa interpretare i loro successi in italiano, tedesco, francese, spagnolo.
Motown the World è un documento sereno, giocoso, in un certo senso ingenuo della storia del soul. Nel 1967, a soli 17 anni, Wonder diventava una luminosa stella della hit parade nera. Nel frattempo trasformava la sua A Place In the Sun in Il sole è di tutti - un successone da noi nella versione di Dino - oppure la palpitante I’m Wonderin in Non sono un angelo, senza dimenticare di buttarsi sullo spagnolo (ascoltare per credere) convertendo For Once In My Life in Por primera vez. Tra le cover che meglio mantengono la sensuale energia originale c’è Sugar Pie Honey Bunch (lanciata dai Temptations e incisa perfino da Jimi Hendrix) che qui i Four Tops trasformano in Piangono gli uomini, riciclando anche Reach Out I’ll Be There in Gira gira.
Nel cd non bisogna cercare il vero spirito del soul quanto un simpatico e ardito (nonché commercialmente furbesco) ibrido di melodia e ritmi neri; non un disco per cultori del soul, o almeno solo per quelli che hanno il senso dell’ironia e il gusto della curiosità. È stato, ai tempi, anche un modo per far scoprire (magari a chi conosceva solo Edoardo Vianello o Bobby Solo) le Supremes, anche se in versione casalinga con L’amore verrà (You Can’t Hurry Love) o Se il filo spezzerai (discreta traduzione di Alberto Testa di You Keep Me Hangin’ On, uno dei mille classici del team Holland-Dozier-Holland). È storia no? In fondo a quei tempi persino Louis Armstrong andava a Sanremo gigioneggiando in Mi va di cantare con Lara Saint Paul.

E poi Jermaine Jackson che spagnoleggia Seamo Serios (Let’s get Serious) non è da perdere. L’unico che ci rimette è Marvin Gaye, re del soul impegnato, che si automassacra con How Sweet It Is 8To Be Loved by You, crudamente germanizzata in Wie Schön Das Ist.

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