Argerich, e il cuore ti sorride

Martha Argerich non ha bisogno di biglietti da visita. Quando si presenta alla ribalta, con il suo incedere informale, la presenza spontanea, l'umanità naturale, è già in sintonia con tutta la sala. Gli applausi che ha raccolto a conclusione del primo concerto per pianoforte e orchestra di Cajkovskij al Conservatorio di Milano, sono frutto dell'amore di antica data del pubblico, rinnovato dalla sua esibizione, sempre generosa e spavalda come è concesso solo ad una grande donna-artista. Dalle prime file della platea abbiamo potuto osservare da vicino Dama Martha: la galleria di espressioni del volto, specchio di una ricerca interiore delle sonorità più appropriate, il coraggio leonino con cui affronta i passaggi in ottave più pesanti, magari dopo essersi erta sul panchetto, l'attenzione costante al dialogo con l'orchestra, fino ad impartire attacchi anche con un guizzo oculare o un movimento del capo. Proprio la capacità di dialogare con i «tutti» è una delle qualità che lascia più ammirati in un'artista del suo rango, artista che potrebbe benissimo rimanere sulla sua strada e farsi seguire.

E invece no, se non scatta subito la sintonia con il direttore d'orchestra, essa conosce i segreti per inserirsi con suprema musicalità galvanizzando un attacco, sottolineando una frase, accennando un rubato. Si sentiva che aveva un rispetto particolare per i musicisti dell'Orchestra Giovanile della Stato di Bahia, diretta da Ricardo Castro. Con un guizzo dell'occhio, con un gesto della mano invitava il direttore a far alzare subito l'orchestra per condividere le ovazioni del pubblico. E queste delicatezze, meravigliose, non sono sfuggite. D'altro canto i giovani brasiliani sono una realtà encomiabile (modellata sul sistema educativo di Abreu). Volti sprizzanti simpatia e gioia di suonare insieme, che condividevano lo spirito estroverso e libero che animava le splendide Danze sinfoniche da West Side Story di Leonard Bernstein e la suggestiva Bachianas Brasileiras n.4 di Heitor Villa-Lobos.

Alla fine hanno trasformato lo stanco rito dei bis in una festa del ritmo, un musicar bailado come è cromosomico nel paese di Jobim e di Ary Barroso, la cui Aquarela do Brasil ha scatenato il pubblico in entusiasmi da futebol. Se qualche censore ha storto il naso, non ce ne siamo accorti, anzi siamo tornati a casa col sorriso nel cuore.

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