Aristocratici delitti veneziani (con "veduta" su capolavori dell'arte)

"13 gocce di cera rossa", il debutto narrativo dell'antiquario Arnaldo Pavesi

Aristocratici delitti veneziani (con "veduta" su capolavori dell'arte)

Una Venezia da cartolina. Si, ma appartata. Vicinissima a quella delle grandi direttrici del turismo e però lontana dalle solite mete. Fascinosa, mai invadente. Basta scartare di un metro e ci si ritrova nella magia di luoghi lontani dalla babele di lingue che fanno tutt'uno con la nostra immagine della Serenissima. Ecco che Ludovico entra in chiesa: non San Marco, ma la Madonna dell'Orto. Ludovico Boringheri, antiquario raffinato costretto a misurarsi con un tenebroso intrigo da dramma ottocentesco, ha bisogno di trovare la concentrazione giusta. C'è un vecchio conte, Alfonso Bergamin, che è morto e probabilmente è stato ucciso. E c'è una sontuosa costruzione, appunto Palazzo Bergamin nel sestiere di Cannaregio, che è stata depredata. Troppi dettagli non tornano, fra capolavori spariti e criminalità internazionale. E allora Ludovico, che si è trasformato suo malgrado in un acuto detective, va nel suo eremo. «Il profumo di cera e di incenso era molto forte e il mormorio delle suore che recitavano il rosario nei primi banchi produceva una sorta di litania ipnotica».

Siamo lontani dagli stereotipi, dalle gondole, da Rialto e dalle cianfrusaglie che affollano la nostra eccitazione. Quella del protagonista di questo sorprendente romanzo, sofisticato sin dal titolo, 13 Gocce di cera rossa (Ed. Il Ciliegio), ha bisogno di confrontarsi con ben altro per mettere a fuoco le sue intuizioni. «Avanzai nella navata laterale e mi sedetti in modo da osservare di scorcio, nell'abside a destra, il Giudizio universale di Tintoretto. Un'opera dalle dimensioni gigantesche caratterizzata da un numero incredibile di personaggi, stretti gli uni agli altri e avviati in due schiere verso destini opposti».

Ludovico Boringhieri è la proiezione dell'autore, Arnaldo Pavesi, al suo debutto letterario dopo una vita passata in mezzo ai quadri, ai mobili e alle meraviglie create dall'estro umano. Pavesi ha la sua galleria a Milano, proprio come Boringhieri che però deve precipitarsi in Laguna per inventariare le opere accumulate nei secoli nello scrigno dei conti Bergamin. Solo che, catalogando e studiando, l'occhio allenato dell'esperto s'accorge che alcuni pezzi sono stati sostituiti con tele mediocri e spariti chissà dove.

Una perdita devastante, perché come si scoprirà un po' alla volta, la collezione portata via è una successione strepitosa di vedutisti veneziani. Da Guardi a Canaletto, come forse nemmeno quelli della Regina.

Siamo dentro un museo virtuale, ma siamo anche in un edificio dalle suggestioni senza fine: stanze e saloni innumerevoli, la torre location di una vertiginosa fuga d'amore, i sotterranei labirintici, concessione al genere neogotico. E poi ecco un carosello di passaggi segreti, degni del miglior feuilleton, statue e busti di antenati persi nei secoli lontani.

La storia bussa a ogni pagina, ma i sentimenti sono quelli di oggi: sfilacciati e complicati. Ludovico avvia una relazione con Anastasia, l'avvenente figlia del defunto nobile. Chissà, forse è solo un diversivo, un'avventura da mettere fra parentesi, ma il disincanto è una corazza fragile. E fra le righe affiora il desiderio di andare oltre, di costruire qualcosa di duraturo.

Intanto, continuano le manovre. Ludovico e Anastasia volano a Londra, nell'ufficio di un mercante che in realtà è un pescecane senza scrupoli. E qui, dietro una tenda, ecco riaffiorare il meraviglioso Canaletto, avanguardia di quello stock sottratto con l'inganno e probabilmente anche con il sangue.

Va da sé, i parenti litigano fra di loro, i sospetti si solidificano, i Carabinieri vanno avanti con le loro ricerche...

Così l'affresco dai tanti colori, sommessi e squillanti, si trasforma in un'affilata denuncia sul saccheggio del nostro patrimonio culturale e artistico.

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