Cultura e Spettacoli

Arte, dolore, eros e vanità: tutto è "in nome dell'amore"

Stefano Zecchi ci fa immergere fra gioie e abissi del sentimento per eccellenza. Dall'antichità a oggi

Arte, dolore, eros e vanità: tutto è "in nome dell'amore"

Da giovane, all'inizio della sua lunga e fortunata carriera, Stefano Zecchi era un fenomenologo, studioso di Husserl e allievo di Enzo Paci. Allora, quando vivevamo tra le aule di Via Festa del Perdono e il Collegio dell'Università Statale a Sesto San Giovanni, nelle nostre lunghe, appassionate conversazioni mi sembrava chiaro che il suo amore dominante fosse quello della conoscenza. Oggi, in questo suo nuovo libro (In nome dell'amore, Mondadori, pagg. 180, euro 18), vedo che dopo tante multiformi esperienze, tra cui quella del romanzo, Stefano Zecchi mette ancora a frutto la fenomenologia e, per amore della conoscenza, offre ai suoi lettori un panorama ampio, dettagliato, dialettico, nutrito di mito, letteratura, musica, cinema del sentimento più importante per ciascun essere vivente, che è l'amore. Ebbene, cosa vuol dire amare? Quali gesti pietosi e generosi, o quali violenze e nefandezze si compiono in nome dell'amore? Quale è la «intenzionalità» dell'espressione «ti amo»? Il lettore troverà tutto questo in un libro sapiente e agile, che può leggere in due sere, o tenere come vademecum per i suoi momenti di riflessione e autoanalisi.

Per gli antichi, amore si poteva declinare come filia, agape e Eros: amicizia e inclinazione, comunanza solidale, passione. Di questi tre aspetti, il più problematico e ambiguo è quello incarnato nel dio Eros, sin dalle sue origini mitiche come sono raccontate in Esiodo e in Platone. Diretto discendente del Caos primordiale o figlio di Poros (Espediente) e Penìa (Povertà), Eros porta nelle sue frecce dominio e perdizione, benevolenza e avidità, volontà di possesso e desiderio di fusione. La prima forma di amore analizzata è quella passionale: quella che cambia, travolge e sovverte, che ha in sé il demone del delitto e della morte: esempio supremo la vicenda di Paolo e Francesca raccontata da Dante nel V Canto dell'Inferno. Amore passionale è anche quello civile, politico, alimentato da un grande ideale per cui ci si immola (nessuno si immola, scrive Zecchi, per un bilancio di previsione economica ben fatto).

La seconda è quella romantica, in cui il desiderio di libertà si coniuga col sentimento dell'immenso, dell'infinito, e spesso ha esiti tragici, come nel Werther di Goethe e nel Tristano e Isotta di Wagner. Il terzo tipo di amore è quello sentimentale, che edulcora e fa vivere come in un'aura spesso falsa di sogno: esempio di sentimentalismo assoluto è quello di Love Story di Erich Segal (che al suo apparire in Italia un filosofo definì in due parole: parolacce e lacrimucce).

Poi viene l'amore «vanitoso»: quello estetico, egoistico, pieno di compiacimento per se stesso, incurante dell'essere amato. Don Giovanni, affascinante e detestabile, Casanova, di cui colse la maschera «empia e funerea» Federico Fellini nel suo film omonimo. Nell'epoca dei social media, l'amore vanitoso deborda e trionfa nello sbandieramento e nell'esibizione continua di se stesso. C'è l'amore sbagliato, come quello di Anna Karenina, che nasce dal sacrificio e dall'illusione. C'è infine l'amore per l'amore, in cui l'amata diventa un pretesto per la glorificazione dell'Amore in sé e, forse, per la gratificazione di se stesso.

Troviamo anche nel libro pagine più improntate all'amore nella quotidianità dell'esistenza: riflessioni sulla famiglia (che bisogna dirlo, da Montaigne, Proust e Balzac sino a tantissimi altri grandi autori, non gode di buona fama nella letteratura), la proposta di un «test d'ingresso» nel matrimonio per giovani studenti, in cui Zecchi attinge con un certo humour alla sua esperienza di docente universitario alle prese con le nozze e i divorzi dei propri studenti, una «fenomenologia» dei momenti chiave dell'amore quotidiano, il colpo di fulmine, il primo bacio, l'attesa, la telefonata, l'appuntamento. Non mancano analisi storiche e sociologiche che seguono l'evolversi dell'amore verso la libertà da ogni vincolo e da ogni condizionamento sociale, che inizia dal processo di urbanizzazione industriale delle masse contadine e trionfa nel nostro tempo.

Molto interessante leggere nella corrispondenza di Lenin con Clara Zetkin la preoccupazione del capo comunista per l'anarchico desiderio sessuale esploso tra i giovani rivoluzionari. Ci penserà Stalin a far sbollire gli ardori. Come il clima libertario e licenzioso creatosi nella repubblica di Weimar sarà cancellato da Hitler. E allora se è vero che i totalitarismi reprimono l'eros, come la mettiamo con la rivoluzione sessuale, il fenomeno più impressionante e apocalittico della nostra giovinezza? Zecchi cita Reich, Marcuse, Deleuze, Guattari e vede quella rivoluzione fallita nelle sue intenzioni liberatorie e ridotta oggi a un mercato del sesso, dove pillola contraccettiva e citrato di sildenafil, comunemente chiamato Viagra, fanno la parte del leone. Se da un lato non si può non cogliere questa condizione attuale di degradazione, di mercificazione, l'espressione panica e cosmica del sesso, almeno come ne scrive D.H. Lawrence, ne rimane un grande meraviglioso antidoto.

Alla fine, il discorso sull'amore si salda immancabilmente con quello sulla bellezza, di cui Zecchi è stato il maggior teorico negli ultimi decenni. Scrive: «Se l'arte viene spogliata dalla sua magia di raccontare l'indicibile ciò che la normalità dell'espressione non sarà mai in grado di dire - essa non significa più niente». È così, anche se molti non lo vogliono capire. L'arte e la bellezza vogliono significare, raccontare, avere una storia.

Proprio come l'amore.

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