Cultura e Spettacoli

La bacchettata

La seconda grande opera di Modest Musorgskij, Chovanscina (L'affare dei Khovanskij), non ha lo status di capolavoro assoluto come il Boris Godunov, eppure ad ogni ascolto, soprattutto degli ultimi tre atti, dalla grande scena delle milizie degli strelzi ubriachi al suicidio di massa finale, si arriva a preferirla al fratello famoso. Difficile pensare a un compositore che abbia scritto scene corali così potenti e complesse, e, usando un termine abusato, così «moderne». Forse per questo il regista Mario Martone ha pensato di ambientarla in una Russia futura possibile (con scene apocalittiche e poco suggestive alla Mad Max). Vero: la storia si ripete, soprattutto in Russia, dove la lotta spietata per il potere fra autocrate e boiardi, le dispute confessionali e il fanatismo religioso, sono sempre gli stessi. Ma ci volevano altri costumi per rappresentare, ad esempio, un aristocratico ambiguo e astuto come il principe Golicyn che sembra un impiegato del catasto, oppure la vecchia credente Marfa, donna capace di un amore trascendentale per il bieco principe Andrej, ridotta a una sosia pingue di Loredana Berté. Il pubblico ha distribuito meritatamente applausi soprattutto al maestro Gergiev, il quale sguazza nella torbida follia musorgskiana con ferinità a tratti impressionante, e al maestro Casoni, il cui Coro è stato il protagonista della serata.

Il cast vocale molto dignitoso non ha però cancellato il ricordo protagonisti vocali di precedenti messe in scena scaligere: le remote registrazioni radiofoniche dal vivo di Ghiaurov, Rescetin e della Archipova, e anche i più recenti Bezzubenkov, Putilin, Kit e Diadkova.

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