Allora ogni tanto succede ancora. Il nuovo disco dei Coldplay, che esce oggi e viene celebrato da due concerti ad Amman in diretta streaming, è «pensato» quasi fosse un concept, è denso di ospiti, cambi di musica, tempi, prospettive. In una parola, Everyday life è kolossal. Di sicuro sorprende. Forse spiazza. Quasi alla vecchia maniera, è diviso idealmente in Lato A e Lato B, l'alba e il tramonto, l'inizio e la fine di un'opera. In un colpo solo la band di Chris Martin si toglie il fardello talvolta pesante di essere «troppo» pop, ossia di consegnarsi mani e piedi a una struttura compositiva didascalica, legata alla successione di ritornelli vincenti e di effetti speciali quasi che ogni brano fosse la scena di un film. In Everyday life il film è unico e il titolo è la nostra attualità, i problemi dell'ambiente e dei conflitti politici e sociali nelle aree più complicate e (talvolta) dimenticate del mondo. Neanche a farlo apposta, in concomitanza con l'uscita di questo disco, i Coldplay hanno annunciato lo stop ai tour finché non saranno «eco-sostenibili». Insomma, una svolta massiccia ma non imprevedibile viste le dichiarazioni e le posizioni assunte negli ultimi anni. Di certo, le obiezioni sono lecite e i sospetti di opportunismo o di «piacionismo» restano in attesa dietro l'angolo. Ma, al momento dell'uscita del disco, si parla di musica. E questa c'è, accidenti se c'è. Tanta roba, viene da dire. Forse troppa. Con una voracità quasi enciclopedica, i Coldplay passano dalle chitarre quasi progressive di Trouble in town (a proposito, il chitarrista Johnny Buckland torna a suonarla in modo originale) a quelle West Coast di Guns al gospel entusiasmante di Broken e alle atmosfere alla Drake di Old friends. Sfruttano sample di Amjad Sabri, cantante pakistano ucciso dai talebani (in Church) e includono un estratto del film dedicato a Fela Kuti (in Arabesque), si ispirano addirittura alla storia potente e meravigliosa di un anziano poliomielitico dell'Honduras che, nonostante la sofferenza, è riuscito a costruire un elicottero con vecchie biciclette e materiali di scarto. In più Moses Martin (figlio di Chris e Gwyneth Paltrow) scrive e canta in Orphans, dove c'è anche la voce della sorella Apple. E il sontuoso italiano Davide Rossi arrangia gli archi e non è l'unica traccia italiana in un disco così globale visto che tre canzoni sono state composte nella toscana Villa Tombolino. Insomma, un disco «impegnato» nel senso che va oltre la scansione abituale delle canzoni destinate a mitragliare streaming o riempire playlist. Qui tra le note c'è un'idea, anzi tante, forse troppe.
Ma ci sono anche brani che diventeranno popolari come l'iniziale Sunrise e la conclusiva Everyday life, giusto per dare anche il riflesso sexy a un'opera complessa, stratificata, sicuramente la più ambiziosa di una storia piena di ambizioni.
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