Battiato, l'uomo etneo

Il grande artista tra le suggestioni del mito e del vulcano

Battiato, l'uomo etneo

Una figura ascetica come Franco Battiato probabilmente non aveva rapporti quotidiani con il vino. Anche se in “Bandiera bianca” del 1981 preferisce l’uva passa a Vivaldi per l’apporto di calorie. Chissà, magari un’idea di passito, ma nulla più. Eppure il vino, marcatore millenario di territori e identità, segna il percorso di ogni uomo etneo. “Quello etneo è un approccio al mondo, direi, e oggi salutiamo un esponente straordinario e un interprete unico di quest’approccio”: il presidente dell’Associazione Italiana Sommelier di Sicilia, Camillo Privitera, ci fa da guida in un ideale percorso a tappe dell’uomo etneo.

Privitera, lei ha mai incontrato il maestro?

“Avevo quasi 16 anni, era il 1976. Con alcuni amici più grandi di me vado a un evento musicale alla sede del Partito Radicale di Catania. A un tratto si presenta Battiato che inizia a suonare la sua musica sperimentale, con grande uso di sintetizzatore elettronico. Eravamo in una quindicina di persone ad ascoltarlo, ci guardammo straniti. Anche in un periodo di incredibili trasformazioni come quello, in cui tutti facevano a gara per essere anti-convenzionali, Battiato lo era sul serio e in un modo unico e originale. All’epoca restai perplesso, lo confesso, ma poi crescendo capii quanto il maestro Battiato fosse avanti con i tempi. Soprattutto quando divenni fan di un gruppo musicale tedesco, i Tangerine Dream”.

Lo vide dal vivo altre volte? Che impressione le fece?

“Andai ad altri suoi concerti, fui tra gli organizzatori di un evento dal vivo a Imola nei primi anni Ottanta, ma ricordo di averlo incrociato su voli civili dalla Sicilia al continente. Una persona normale, serena, in pace con se stesso e con il mondo, capace di vivere con signorilità anche la sua notorietà, la sua popolarità”.

In che senso Franco Battiato è uomo etneo?

“A’ muntagna, l’Etna, è il collettore degli incroci tra placca africana e placca indoeuropea. Scambi anche violenti di fluidi, di energie, di materiali. Scontri e incontri che emergono ai nostri occhi con le eruzioni, ma che non cessano mai il loro moto. Questa dinamica conferisce a chi vive queste terre un approccio alla realtà che porta a una rielaborazione dei mondi con cui si viene a contatto. In questo senso, credo, Battiato è stato l’uomo etneo”.

Veniamo ai luoghi dell’uomo etneo: il 23 marzo 1945 Battiato nasce a Ionia, attuale Riposto, costa ionica catanese. Di che luogo stiamo parlando?

"Riposto, dall’attività di ripostare le botti. Fino alla Seconda Guerra Mondiale era un porto commerciale davvero importante per il vino. La zona etnea aveva moltissimi ettari vitati e molti vigneti precedenti alla fillossera. Ma non solo. Riposto era uno snodo portuale importante anche per il commercio dello zolfo, scudo della vite contro lo oidio e la peronospora, nemiche mortali. Mia madre era di Riposto, un luogo che viveva di mare. Un mio zio, ad esempio, era sull’Andrea Doria quando il transatlantico colò a picco il 25 luglio 1956. Riposto era una finestra sempre aperta sul mondo, un porto davvero trafficato e vissuto. Questo milieu è stato certamente formativo per quell’approccio di Battiato uomo etneo. Ma Riposto non era solo mare: perché erano floride filiere artigianali dedite alla lavorazione della pietra lavica, alla costruzione delle botti e alla manutenzione dei palmenti. Il paese natale di Battiato era un luogo ricco di antropologie diverse. Un legame profondo che il maestro sottolineò tra l’altro con il film ‘Perdutoamor’ del 2003, suo esordio alla regia cinematografica, girato tra l’altro a Riposto e a Giarre, i luoghi appunto della sua infanzia”.

Poi c’è Acireale. Qui nel 1955 Battiato guida una rock band che si esibisce dietro compenso in occasione del Carnevale. E pochi anni dopo consegue il diploma di maturità scientifica presso il liceo “Archimede”. Che città e Acireale per l’uomo etneo?

“Fin dalla dominazione normanna in Sicilia, Acireale è citta ecclesiastica. Corporazioni e ordini religiosi le attribuirono la fama, che rimane ancora oggi, di città dalle cento campane. Carlo Levi ne ‘Le tracce della memoria’ descrive Acireale come un’Avignone medievale, innervata di una presenza capillare della Chiesa sul territorio. E Chiesa significa istruzione e pedagogia. Infatti ad Acireale, ad esempio, il Collegio Pennisi dei Gesuiti, l’Istituto San Michele dei Padri Filippini, il collegio femminile Santo Noceto hanno formato molta classe dirigente meridionale. E anche l’istruzione pubblica ha potuto contare su eccellenze come l’Archimede che ha visto Franco Battiato studente. Anche la formazione tecnica ad Acireale è stata funzionale all’ST Microeletronics di Catania e a una filiera elettronica catanese che si sviluppa dagli anni Settanta”.

E allora veniamo a Catania. L’uomo etneo Battiato è anche catanese?

“Assolutamente sì! È l’innesco di quella new wave esplosiva che farà di Catania una delle capitali culturali della new wave in Italia dagli anni Settanta fino agli anni Novanta. È stato Battiato a far partire il big bang, poi ci sono stati i Denovo nel 1982 fino ad arrivare al mitico concerto dei REM del 1995 organizzato dall’indimenticabile Francesco Virlinzi, e poi Carmen Consoli e Mario Biondi. Franco Battiato è stato prima il geniale detonatore e poi il padre nobile di questa Catania. In città suonavano tutti, nelle cantine, nei garage, nei locali”.

Franco Battiato se n’è andato stamane, 18 maggio 2021, a Milo, versante orientale dell’Etna. Che tipo di paese rappresenta?

“Milo è un comune piccolo, ma molto attivo. Ed è una capitale del vino, dell’Etna Bianco Superiore, prodotto solo in quel territorio, laddove il carricante trova la sua migliore espressione probabilmente. Una delle zone più boschive e più piovose di Sicilia, ma anche con l’aria più sana e balsamica. Un luogo di grande pace. Sei in montagna, a oltre 700 metri, un balcone naturale sul mito. Vedi lo Ionio, vedi lo Stretto di Messina e dall’altro lato contempli Augusta e Siracusa. Cioè abbracci con uno sguardo la colonizzazione greca, il mito di Empedocle che si getta nel cratere dell’Etna per dimostrare la mondo di essere immortale. E ad Aci Trezza è ambientato il nono canto dell’Odissea, quello in cui Ulisse e i suoi compagni fanno il vino per Polifemo e poi lo accecano. Un territorio con gemme fascinose e quasi esoteriche come la riserva naturale di Malabotta e le rocche d’Argimusco, un’atmosfera magica. Non stupisce che il maestro Battiato sia tornato stabilmente a vivere qui”.

Anche Lucio Dalla è arrivato da queste parti nei primi anni Novanta, no?

“Certo, influenzato proprio da Battiato. E si è messo a produrre, nemmeno a dirlo, vino. Un’etichetta era lo ‘Stronzetto dell’Etna’. Lucio Dalla amava Milo, anche lui a modo suo è stato un uomo etneo. Con un approccio non così dissimile da quello del maestro Battiato. E chissà che non gli abbia fatto assaggiare il suo vino”.

Qual è l’inno dell’uomo etneo?

"A me ‘Povera patria’ sembra un brano figlio di un pessimismo nostro, un po’ siciliano, non solo etneo. Se crede è l’altra faccia di una consapevolezza di vivere una dimensione unica, la stessa di certa indolenza dei ragionamenti del principe Fabrizio di Salina nel Gattopardo. Ma trovo struggente ‘Stranizza d’amuri’, inno siciliano unico”. Come sempre anche oggi lo scambio di fluidi ed energie sotto a’ muntagna, l’Etna, continua eterno. Ma arricchito da tutto ciò che ha apportato Franco Battiato con l’incontro con i suoi mondi. Con quell’apertura che solo chi è figlio della ‘muntagna’ può maturare giorno dopo giorno. “Il nascere e il morire sono i due momenti unicamente reali.

Il resto è sogno, interrotto da qualche insignificante sprazzo di veglia”: la frase che apre il film “Perdutoamor” può essere un’epigrafe significativa per Franco Battiato. Ma l’uomo etneo, combinazione di fluidi ed energie, è destinato a perdurare rinvigorito dagli enzimi culturali e dalle suggestioni di uno dei suoi figli più illustri.

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