Con Better Call Saul gli orfani di Breaking Bad si stanno dimenticando di Walter White e di Jesse Pinkman, ma davvero lo spin-off ha superato la serie madre?
Da un mito ad un altro
Sono passati sette anni ormai da quando è terminata la saga di Heisenberg, con il testimone passato poi ad un altro personaggio: Saul Goodman. Vince Gillian e Peter Gould, il primo creatore e il secondo sceneggiatore di Breaking Bad, dopo la fine di questa hanno deciso di ripartire da capo e realizzare Better Call Saul, cioè una delle migliori opere seriali di questi ultimi anni. Il successo di questo spin-off, prequel, e in parte anche sequel, di Breaking Bad non era affatto scontato. In più occasioni abbiamo visto sviluppi paralleli a storie originali accanirsi sulle spoglie di un successo ormai esauritosi e tentare inutilmente di rianimare un franchise che aveva già detto tutto quello che aveva da dire.
Questa triste fine è toccata anche all’universo criminale-esistenziale creato dallo stesso Vince Gilligan. Il passo falso è stato fatto con il film El Camino, dedicato alla fuga di Jesse Pinkman dopo l’episodio conclusivo della serie madre. In quel caso - complice anche il tempo che ci ha fornito attori fisicamente cambiati rispetto agli eventi già presentati - abbiamo aspettato con trepidazione, e visto poi con delusione, una storia voluta raccontare a tutti i costi come segno di rispetto per il personaggio di Jesse, ma che in definitiva poteva benissimo essere evitata. Se tutto dovesse essere sempre raccontato allora non ci sarebbe più spazio per l’interpretazione. Forse era meglio evitare.
Discorso diverso invece per Saul Goodman, interpretato da un incredibile Bob Odenkirk. Qui, Vince Gilligan e Peter Gould si sono presi il tempo necessario e hanno impiegato nuovamente quelle tempistiche tanto amate/odiate dai fan per un personaggio che era stato centrale, ma non troppo, in Breaking Bad. In questo caso, a differenza di El Camino, c’è stata l’opportunità di ripartire con una nuova sfida e approfondire ogni sfaccettatura di un interessante carattere. La stagione da poco conclusa, la numero 5, si avvicina sempre di più a Breaking Bad, sia in termini di periodo storico che di qualità. A dimostrazione di questo anche il cast, con il ritorno di Dean Norris nei panni di Hank Schrader.
Con gli ultimi episodi disponibili su Netflix abbiamo riassaporato quella dolce paura che un tempo vedeva protagonisti Walter e Jesse e che ora invece spetta a Jimmy/Saul e Nacho Varga. Le puntate procedono piano, ma questo è lo stratagemma che Gilligan ha da sempre adoperato per tenere incollati sullo schermo i fan, in attesa di stravolgere tutto nel giro di poche sequenze con un colpo di scena da maestro, come se volesse dire allo spettatore “attendi, la tua pazienza verrà ripagata”.
Com’è la nuova stagione
Chi ha seguito fino ad ora Better Call Saul ha notato come è cambiato il personaggio di Jimmy/Saul. Nel finale della stagione precedente è uscito allo scoperto e una volta riottenuta l’abilitazione alla professione di avvocato, eccolo che cambia nome nello storico Saul Goodman. Che ripercussioni ha questo sulla sua vita? Enormi, ma ancora non definitive. Nella criminalità di strada quel nome è già noto grazie alla rivendita cellulari non rintracciabili e proprio quei clienti sono (e saranno) i suoi nuovi assistiti.
Quello che il buon Saul non si aspettava è che il successo tra i delinquenti di bassa lega lo avrebbe portato ad essere notato dai criminali veri. Parliamo del cartello messicano della droga, parliamo di Gustavo Fring. Qui entra in gioco quell’articolata trama fatta di vendette e suppliche, con sparatorie, rappresaglie e lunghe arringhe, e lo strapiombo lì ad un centimetro dal protagonista. Tutti elementi vincenti già conosciuti e apprezzati nella serie madre.
La quinta stagione delude un po’ sui colpi di scena ma si presenta con altri regali, rilevanti per la qualità complessiva del prodotto. Per quanto riguarda Jimmy/Saul, più che di evoluzione del personaggio sarebbe meglio parlare di consacrazione: diventa ciò che sappiamo poi sarà, l’avvocato dalla grande parlantina pronto a tutto pur di raggiungere il suo obiettivo, a cui piace fare soldi facili con criminali da strapazzo ma che finisce inevitabilmente anche in grossi guai. Nessuna novità sotto questo aspetto, era solo questione di tempo.
La sorpresa arriva invece dalla sua compagna, Kim, che nelle precedenti stagioni ha avuto un ruolo di contraltare rispetto al carattere di Jimmy, tenendolo a freno e cercando di portarlo sulla retta via. Ciò nonostante, fin dai primi episodi di questa serie abbiamo visto come Kim si sia spesso lasciata attrarre dal modus vivendi di Jimmy/Saul e sono state più le volte in cui lei ha seguito lui che il contrario. I casi pro bono per lei erano la vera essenza della professione forense, ora diventano un modo per ripulirsi la coscienza. Cambiano le priorità ma sono le stesse scelte che fa Jimmy/Saul, il quale, a differenza sua, si lascia andare più facilmente. Grande interesse anche per il personaggio di Lalo Salamanca, nipote di Hector, la nuova minaccia che già nelle precedenti puntate aveva seminato il panico ad Albuquerque. Un pericolo per gli affari dell'imperturbabile Gus Fring, il quale è così costretto a sfoderare contro di lui i primi grandi piani strategici, vero ambito su cui si gioca la partita della tensione nelle due serie tv firmate da Gilligan.
Better Call Saul migliora rispetto al passato ma non come era riuscita a fare con la stagione 4 rispetto alla terza. Ha dovuto sacrificare qualcosa in termini di suspense per assestare i caratteri dei personaggi. Ha dovuto prendere tempo per far maturare a dovere il suo protagonista e poggiare sulle sue spalle un carico di tragedia necessario. Tutto questo lo si può fare solo con una serie tv e non con un film, soprattutto quando si ricorre ad una narrazione lenta - meglio: che si prende il tempo di cui ha bisogno - come questa. Ecco perché El Camino e la storia di Jesse Pinkman non hanno lasciato il segno e perché invece Better Call Saul lo fa e lo farà. La prossima stagione sarà anche l’ultima. Lì finalmente vedremo la spinta definitiva che porterà Saul Goodman ad abbandonare del tutto la vita di Jimmy McGill. Ancora ci sono degli elementi che tengono insieme queste due personalità, anche se quella più spregiudicata è decisamente in vantaggio.
Better Call Saul vs Breaking Bad
In un confronto diretto con Breaking Bad, che inevitabilmente deve essere fatto, possiamo dire che le due serie si equivalgono, per il momento. E questo solo perché diamo fiducia al futuro di Better Call Saul. Forse la memoria ci gioca brutti scherzi, il ricordo è troppo lontano e non rimembriamo bene quanto ci è piaciuta la storia di Walter White (ecco perché meriterebbe una nuova visione) rischiando così di dire cose che non pensiamo davvero, come che perde colpi rispetto al suo spin-off. Non è così. Prima di tutto Saul ha, e avrà, più tempo di Walter a disposizione. La serie madre è composta da cinque stagioni mentre lo spin-off ne avrà sei. Inoltre, Jimmy deve ancora fare il passo decisivo per diventare Saul: i due ancora coabitano all’interno del protagonista. Diversamente, in Breaking Bad abbiamo visto Walter abbandonare presto le vesti del padre di famiglia morigerato diventando un uomo senza scrupoli. Ad esempio, già nella seconda stagione, per interessi di profitto, decide di lasciar morire Jane e riportare così Jesse in affari.
Questo passo deciso e definitivo verso il lato più oscuro ancora non è avvenuto per Jimmy/Saul. Certo, il suo è un personaggio dal carattere diverso, ma in lui c’è ancora troppo di Jimmy e la presenza di Kim lo dimostra.
Better Call Saul ha ancora una stagione per raggiungere e “staccare” Breaking Bad, ma anche se nei prossimi 10 episodi venisse giù il mondo, dobbiamo riconoscere che non ci sarebbe stato niente di tutto questo se Walter White non avesse deciso di cucinare metanfetamina in un camper nel deserto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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