Cani, silenzi e orologi d'oro. L'"hangar" di un pittore felice

Visita allo studio milanese dell'artista comasco, fra grandi tele, il celebre "Branco" e opere "criptiche"

Cani, silenzi e orologi d'oro. L'"hangar" di un pittore felice

A Milano, a metà di via Imbonati, dopo i bugigattoli di alimentari etnici, i parrucchieri africani e cinesi, i bar tabacchi dove si parlano tutte le lingue del mondo, ecco lo splendore della ciminiera ex Carlo Erba, colorata d'ocra dal sole al tramonto contro l'azzurro del cielo. Poco oltre, in un cortile che fu della periferia operaia, dentro uno spazio con un passato da magazzino o da fabbrichetta, c'è un'altra bellezza, Velasco Vitali. Intendo i suoi quadri, ma anche l'artista: sarebbe sciocco negarlo, è la prima cosa che mi viene in mente ora che mi stringe la mano sorridendo cordiale. È un uomo alto, con le spalle larghe, in forma, ha un viso italiano proporzionato e sensuale, con i capelli ancora fitti e scuri e solo nella barba un po' di bianco, anche se Velasco, come lo chiama il mondo dell'arte, ha già superato i sessanta. Sarà per via di questa bellezza che i suoi quadri trasmettono più felicità e intelligenza che non tormento e angoscia?

Gli ho portato un paio dei miei libri, mi chiede di dedicarglieli. Non mi vengono bene le dediche, non so mai cosa scrivere e me ne scuso, mentre sul risguardo firmo e dichiaro banalmente amicizia e stima. Anche Velasco mi regala un paio di suoi cataloghi, ed ecco il vantaggio che ha l'artista sullo scrittore: lui può fare un disegno, uno schizzo, e non sbaglierà mai, sarà sempre una dedica piena di grazia e mistero. Un altro vantaggio? Uno scrittore lavora due anni alla sua opera, firma un contratto con un anticipo di cinque, dieci, ventimila euro, e la ritrova in libreria in migliaia di copie. L'opera di un pittore invece è unica, dipinta in un giorno o una settimana, e il suo valore dipende dal coefficiente. Sommate base e altezza di un quadro espresse in centimetri, moltiplicate per 10 e poi moltiplicate per il coefficiente: otterrete il prezzo in euro. I pittori si costruiscono magnifiche collezioni scambiando opere con altri artisti, uno scrittore con loro cosa può mai scambiare, un racconto inedito? A meno che diventi Hemingway, non avrà mai nessun valore.

Conosco le opere di Velasco da anni, è uno di quegli artisti che fanno vibrare le mie corde e di cui desidero un quadro con tutto me stesso. Di persona l'ho conosciuto invece da poco, attraverso Instagram. Quando ha postato un ricordo di un amico comune scomparso nel 2021, il critico letterario Fulvio Panzeri, ho vinto la timidezza e gli ho scritto. Il collegamento tra Panzeri e Velasco è Giovanni Testori, che nei primi anni '80 ha scoperto e promosso il pittore di Bellano. «Hai l'esclusiva con una galleria?». Così ho chiesto qualche giorno dopo i primi messaggi. «Oppure posso venire in studio e capire se riesco a comprare da te?». Sono domande che mi mettono terribilmente in imbarazzo, fatico a farle a un artista, parlare di soldi mi sembra come sporcare l'arte, degradarla, e lo so che è una sciocchezza perché di arte un artista vive e la compravendita è faccenda quotidiana, ma tant'è. «Non mi segue nessuna galleria, c'è solo qualche opera qua e là» mi ha risposto Velasco. «Vieni a trovarmi quando vuoi».

Il suo studio è immenso, lungo forse venti metri e largo dieci, l'altezza sembra quella di un hangar, ed è stipato di cose: scaffalature da pavimento a soffitto su cui si affiancano dipinti di grandi dimensioni, casse con opere più piccole, tavoli da lavoro con colori e pennelli, cavalletti, barattoli, attrezzi, sculture. Velasco dipinge su tela e scolpisce forgiando il metallo. Branco, per esempio, sono 54 cani a grandezza naturale, un paio dei quali rimasto qui a Milano mentre gli altri, nei giorni della mia visita, sono a Capaci, in questura, nati con altre intenzioni e diventati, lì, un'installazione contro la mafia. «Le opere cambiano di significato con il contesto» mi dice Velasco, vestito con una felpa scura, un paio di jeans, scarpe sportive da escursione «e il contesto crea l'opera». È una persona di evidente intelligenza ma empatica e aperta, non ti racconta delle sue opere ostentando la scontrosa, criptica oscurità che è la posa, invece, di molti artisti. Ma sia chiaro che anche lui è oscuro e criptico, ed è giusto così, perché è appunto un artista, non un ingegnere, però i salti quantici mentali che l'hanno portato a un'opera te li racconta come descriverebbe un torrentello che scorre. Goldwatch, per esempio, che è la sua serie più recente. Di questa serie Velasco estrae da una cassa un paio di quadri 40×50. Li ha dipinti nel marzo 2020 durante il lockdown, nel giardino della sua casa di Bellano. Queste, insieme ad altre, fanno un gruppo di 24 tele di piccole dimensioni dipinte dallo stesso punto ma con 24 viste diverse, lo spazio del giardino suddiviso come il quadrante di un orologio, ogni quadro realizzato nelle ore di luce di una singola giornata e in diretta Instagram, mentre un amico, l'invitato del giorno (Antonio Marras, Ferdinando Bruni, Oliviero Toscani), osservava e conversava via social. E questi sono i Dialoghi. Nella stessa serie, i Silenzi sono 24 disegni su carta 24×32 dipinti in giardino, e infine le Meditazioni sono 24 tele in grande formato, 200×150, dipinte in studio. Sono di una bellezza toccante. In primo piano vedi il giardino disordinato che rinasce mentre l'uomo si è fermato, lo sfondo invece rimane indefinito, è un oltre di libertà e prospettive future aspettando la fine della pandemia, in colore oro. Oro, d'accordo, ma perché Goldwatch? «Il punto di vista che si sposta come le lancette su un quadrante» spiega Velasco. «L'oro dello sfondo infinito e spirituale dei quadri medievali». E poi due o tre salti che sembrano perfettamente logici ma dove io rimango indietro, per ritrovarmi al celebre goldwatch monologue, quando, in Pulp Fiction, il capitano Koons consegna a Butch Coolidge bambino l'orologio d'oro del padre scomparso. Sono disorientato. Velasco mi guarda e sorride sornione. Gli uomini belli possono permettersi anche l'ironia.

Lo vorrei proprio, uno di questi dipinti: un giardino sul lago, i verde chiaro e i verdoni, i marroni, le macchie rosa, lo sfondo oro Le sento davvero vibrare, le famose corde. Parliamo di prezzi? Ma certo, ci vuole un secondo, dichiarare il famoso coefficiente per Velasco è un altro torrentello che scorre. Per me invece un macigno. È alto, il coefficiente, e dentro di me, in un altro secondo, capisco che non ce la potrò fare.

Dico che ci ragiono, dico che ne parlerò con mia moglie perché la nostra collezione la curiamo insieme, soprattutto arrossisco. Vuoi che Velasco non capisca al volo? E vuoi che non mi dica la cosa giusta con leggerezza, come la direbbe a un amico? «Sì, ma non sentirti obbligato».

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