"Cara D'Urso, mi scuso"

Dopo la lite in tv Vittorio Sgarbi porge le scuse alla conduttrice di Canale 5. E chiarisce: "Raccomandare non è un'offesa"

"Cara D'Urso, mi scuso"

Gentile Direttore,

la ricostruzione dello «scontro» con Barbara D'Urso indica una naturale propensione a interpretazioni unilaterali e forzate, anche senza invocare l'ironia, inesatte per una serie di ragioni che stemperano non solo la polemica ma anche il significato stesso del mio intervento, che non voleva essere né dissacratorio né provocatorio. Invitato per discutere del programma La Pupa e il Secchione, ho ricordato, come si è ben visto nella furibonda lite con Alessandra Mussolini, di essere stato il promotore e la «memoria storica» di un programma dove né io né la Mussolini eravamo concorrenti, bensì giudici.

Dopo quattordici anni Mediaset pensa a una nuova edizione del programma e, in virtù di quell'episodio «storico», mi invita per un confronto con i giovani. Vado, simpatizzo con i ragazzi, e registro un intervento su Michelangelo. Mi intrattengo qualche ora, e attendo serenamente la messa in onda. Una volta decisa, si scopre che essa coincide con il periodo della «par condicio», con riferimento particolare alle elezioni regionali (in Emilia Romagna dove sono stato candidato ed eletto). Per questo, con molte scuse, la produzione e il conduttore Paolo Ruffini mi comunicano che sarò tagliato. Per rigore professionale me ne dispiace, e negozio con Alessandro Salem (direttore generale dei contenuti, che spero ci legga) che l'intervento sia mandato nell'ultima puntata. Non so se sia avvenuto, e non so neppure se il programma sia finito. Insomma, non ho nessun interesse diretto per La Pupa e il Secchione. Sono quindi invitato da Barbara D'Urso con Alessandra Mussolini per il facile divertimento di rimandare in onda quel celebre battibecco. Dopo il rito, non potevo dir nulla sulla nuova edizione, se non quello che qui ho scritto; e, pensando di scherzare, visto l'argomento (nel clima pesante di Coronavirus), ho aggiunto un particolare, forse frainteso, su una ragazza, che non ho identificato e di cui non ho detto il nome, dicendo che mi era stata «raccomandata».

Intendo rivendicare, caro Direttore, il significato primario di raccomandazione, che è evidentemente malinteso o equivocato. «Raccomandare» è esattamente, come declina, in varie guise, la Treccani: raccomandare v. tr. 1. a. Affidare ad altri persona o cosa che sta molto a cuore, pregando o esortando caldamente di soccorrerla o proteggerla o custodirla, o di averne comunque la massima cura: «Sieti raccomandato il mio tesoro» (Dante); «Raccomandami al tuo figliuol, verace Omo e verace Dio» (Petrarca); «ti priego che, s'egli avviene che io muoia, che le mie cose ed ella ti sieno raccomandate» (Boccaccio).

Vorremmo discutere Dante, Boccaccio, Petrarca, vorremmo ancora rimproverarmi di intendere e parlare la loro lingua? Nella sostanza, l'interpretazione malevola di «raccomandare» presuppone un potere superiore o diretto, che io non ho. Quindi nulla di male nel dire che mi era stata raccomandata, per la sua avvenenza o per la sua capacità, una ragazza (ripeto, da me non identificata), per nient'altro che per mostrarmi, da parte di una persona di cui non ricordo l'identità, interesse e affezione. Reagendo allo stupore e alla insistenza, pur di fronte a un fatto inconsistente e inoffensivo, della conduttrice, io ho fatto, in modo caricaturale, per celia, i nomi di Berlusconi e di Cairo. I quali non avrebbe avuto senso raccomandassero a me una ragazza, non essendo io né conduttore né autore né produttore né direttore; e non magari io a loro. Se poi non è stato capito, mi posso scusare di aver sottovalutato l'interpretazione negativa, ma comunque non logica, della parola «raccomandazione». Alcuni giornali equivocano, facendomi affermare, rivolto alla D'Urso: «Berlusconi mi ha raccomandato anche te». Una evidente insensatezza. Che senso avrebbe che Berlusconi raccomandasse la D'Urso a me? Per che cosa? E per attivare quali miei, inesistenti, poteri? Incomprensione totale.

Berlusconi mi ha sempre parlato bene della D'Urso, sul piano umano e sulle capacità di lavoro, e io ho semplicemente condiviso. Mi ha raccomandato di apprezzarne il merito.

Ho tentato di spiegare che quella «raccomandazione» era una lode, e non una richiesta; ma è stato impossibile. Posso dunque scusarmi di aver sottovalutato l'uso improprio e univoco del termine «raccomandazione», e l'accezione decisa, nonostante l'impossibilità degli effetti, da Barbara D'Urso. Spero di essere stato chiaro.

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