Carofiglio, libro perfetto. Per fare gli aeroplanini

Raccontini scritti con linguaggio per bimbi. Di grande c'è solo la grammatura della carta

Massimiliano Parente

C arofiglio, sicuramente non mio. Incredibile, ho letto il tuo ultimo libro Passeggeri notturni, pubblicato da Einaudi Stile Libero Big, e già Big non si capisce perché, per farlo arrivare a cento pagine hanno dovuto ingrandire il corpo dei caratteri e aumentare la grammatura della carta, perfetta per farci degli aeroplanini.

Ero in una libreria, l'ho visto ben esposto, anzi molto sovraesposto, l'ho preso per dargli un'occhiata e sono stato attratto dalla frase sulla quarta di copertina: «un almanacco di soluzioni inattese, di rivelazioni ironiche, di folgoranti incidenti del pensiero. Una scommessa allegra e audace sullo straordinario potere dei personaggi, delle storie, della letteratura». Non ho resistito, volevo leggere tutti questi folgoranti incidenti, questa scommessa audace, questo straordinario potere dei personaggi, chissà che ha combinato, ho pensato, questo Carofiglio. Dopo mezz'ora (tempo necessario a leggere il Big, lì sulla poltrona della Feltrinelli) mi è venuta voglia di scriverti: vorrei capire perché hai lasciato la narrativa poliziesca per lanciarti in una raccolta di trenta raccontini morali, come se fossi Eugenio Scalfari.

Devi sapere che, oltre a essere inutile, è un genere difficile, bisogna avere un senso del ritmo e della chiusura, bisogna essere almeno Dino Buzzati o Ennio Flaiano, mentre i tuoi racconti sono tutti tronchi, come barzellette senza finale, come le favole, anche perché il linguaggio è quello per bambini, ma presumo il libro debbano leggerlo gli adulti, altrimenti la collana si chiamerebbe Stile Libero Baby. Qualche esempio? Un bambino violento a scuola ti picchiava, prendendosela con i più deboli, un altro bambino che sembrava debole alla fine ti difese prendendo il cattivo a giornalate in testa, poi «ripose il giornale nello zaino, con calma, e ce ne andammo insieme». Embè?

Altro aneddoto, in cui scopri i profumi che risvegliano la memoria (avevi letto un Bignami di Proust?): varechina della casa dei nonni, l'odore della naftalina, l'odore dei jeans sporchi, la focaccia di Sanrocco, le merendine eccetera eccetera, e poi all'improvviso rivedi tua mamma. Finale: «Ho gli occhi sempre chiusi, ma vedo e sento tutto e l'aria dentro di me è tersa. Per un tempo brevissimo e infinito mia madre e io siamo lì, insieme». Embè? Dobbiamo piangere?

E poi un magnaccia che trasporta le prostitute sul treno, un giorno si ritrova su un treno vuoto. Cosa è successo? Quale la soluzione inattesa? Il folgorante incidente del pensiero? «Non hai capito dove sei? Questo è l'inferno» gli dice il controllore. Lui scappa via, attraversa i vagoni e, chiusura del racconto «in fondo c'è un controllore, nell'ombra, con i capelli molto lunghi». Embè? Brrr, paura? Quel giorno ti sentivi Edgar Allan Poe?

Il racconto intitolato Un addio, confesso, l'ho saltato a piè pari, perché inizia così, con un altro treno, in prima persona: «Per molti anni ho preso il treno di notte fra Bari e Bologna un paio di volte al mese». Anziché arrivare alla fine e dire «Embè?» ho detto subito chissenefrega.

Tuttavia ho trovato la soluzione nel raccontino sui belli e sui brutti, quando ti riferisci agli aspiranti scrittori citando Somerset Maugham: «Lo scrittore inglese era solito dire che ci sono tre regole infallibili per scrivere un romanzo di grande successo. Sfortunatamente nessuno le sa». Aldo Busi, scrittore vero, risponderebbe: «È ben triste scrivere per vendere, sacrificare tutto il resto, e poi non vendere» (citazione da Sodomie in corpo 11, un capolavoro, te lo consiglio).

Insomma, la morale della favola è che tu sei un dignitoso autore di thriller (cosa diversa da uno scrittore, il defunto Umberto Eco, quando faceva il semiologo, li catalogava nella paraletteratura, come del resto erano catalogati i romanzi di genere da tutta la critica prima che la critica si suicidasse), hai sacrificato il resto, hai

invertito l'ordine degli addendi biografici (non «magistrato, politico e scrittore» ma «scrittore, politico e magistrato») ma vendi tanto, quindi perché non ti accontenti? In ogni caso Embè? sarebbe stato un titolo perfetto.

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