Caso Calabresi, Giordana: "C’è una nuova indagine"

Il regista rivela una pista inedita e ridimensiona il ruolo di Lotta Continua. Poi rivela: "Senza la parola 'torturatore' avrei firmato il manifesto contro di lui"

Caso Calabresi, Giordana: "C’è una nuova indagine"

«Il mio non è un film sull’omici­dio Calabresi, ma sulla strage di Piazza Fontana». Si difende così, Marco Tullio Giordana, dalle criti­che­che gli vengono mosse a propo­sito dell’omissione nel film della fe­roce campagna contro il commis­sario Luigi Calabresi conclusa con il suo assassinio la mattina del 17 maggio 1972. In realtà, Giordana non crede alla colpevolezza di Lot­ta continua, sentenziata in cinque processi, revisioni comprese, che hanno portato alla condanna di Le­onardo Marino, pentito reo confes­so, Ovidio Bompressi, Giorgio Pie­trostefani e Adriano Sofri.

Ed è que­sto, con ogni probabilità, il motivo per cui i violenti attacchi di quel movimento e l’appello contro il commissario firmato da 800 intel­lettuali trovano in Romanzo di una strage , per altri versi un’opera co­raggiosa e potente, uno spazio così minimale da aver amareggiato Ma­rio Calabresi. «Il famoso appello era motivato dalla decisione del­l’avvocato Lener, legale del com­missario, di ricusare il giudice Biot­ti. Se non avesse contenuto la paro­la “ torturatore”avrei potuto firmar­lo anch’io», rivendica Giordana.

«Tornando al film, credo che le scritte sui muri, Calabresi che mo­stra ai superiori i giornali annun­ciando di volerli querelare e i fischi al processo siano sufficienti per in­formare di quanto è successo pri­ma dell’omicidio. Detto questo, ca­pisco che a Mario Calabresi quei momenti possano non bastare».

Fin qui la difesa del cineasta. Ma leggendo le note di regia ci si accor­g­e che Lotta continua non è mai ci­tata e quando accenna all’omici­dio, Giordana avanza le ipotesi più disparate: «Vendetta del proleta­riato? Ritorsioneneo-nazista? Ope­razione sotto copertura dei servizi segreti?». È solo in un minuscolo appunto a pie’ di pagina che si tro­va il nome del movimento capeg­giato da Sofri (che ieri ha detto la sua sul Foglio ), prima di una nota­zione sibillina: «È attualmente in corso una nuova indagine di poli­zia giudiziaria che - si legge - po­t­rebbe cambiare radicalmente la fi­sionomia di questo delitto». Inter­pellato sull’argomento, il regista si chiude a riccio e fa il cronista: «Non rivelo le mie fonti, ma confermo l’esistenza di questa nuova indagi­ne. I cronisti di giudiziaria dovreb­bero approfondire, lavorare di più», butta lì il regista. Come repli­ca alle critiche sulla tesi «biparti­san » del film, secondo la quale nel­la Banca dell’Agricoltura sarebbe­ro esplose due bombe? «Calabresi stesso riteneva che una fosse stata messa dagli anarchici e l’altra, più potente, dall’estrema destra, se­condo la tesi “menti di destra, ma­novalanza di sinistra”. Io ritengo che le due bombe avessero matri­ce neonazista e dei servizi segreti deviati».

Insomma, sebbene mostri una superficie didascalica, in realtà le tesi abbondano nelRomanzo di una strage . Compresa la mancan­z­a di rapporto diretto tra la campa­gna di Lotta continua e l’omicidio Calabresi. «Il suo giornale attacca spesso e con violenza i magistrati di Palermo. Se qualcuno li ammaz­za, la colpa ricadrà sui vostri tito­li? », sibila Giordana. Giampaolo Pansa, testimone dell’epoca e che nel film compare come inviato del­­l’ Unità mentre lo era della Stam­pa , ha scritto ieri che c’è una diffe­renza abissale tra la cosiddetta e presunta macchina del fango e la campagna che per due anni diffa­mò e insultò Calabresi annuncian­do che il verdetto del proletariato sarebbe stato eseguito nelle stra­de. Soprattutto, vien da aggiunge­re, c’è la differenza di un numero eccezionale di processi e sentenze. Ecco perché è stupefacente quello che il regista-cronista scrive nella brossura. «Chi vede il film e si im­punta su Lotta continua si allonta­na dal cuore del discorso ». Ma Cala­bresi è il protagonista di Romanzo di una strage che si conclude con la sua morte avvenuta al termine di una campagna, appena abbozza­ta. «Non ho nessuna intenzione di difendere quella campagna che ho trovato obbrobriosa. Anzi, abbiet­ta, come la definì lo stesso Sofri. Quando qualcuno viene additato al pubblico ludibrio, solo per que­sto motivo, in me scatta il riflesso opposto».Scatta una certa irritazio­ne, invece, se l’intervista si soffer­ma sul punto debole della sua ope­ra.

E anche se il regista sottolinea che da giovane ascoltava e dialoga­va «pure con i fascisti come consi­gliava Pasolini e come non consi­gliava Calvino», con il cronista del Giornale è meno accondiscenden­te. E l’intervista finisce qui. 

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