Cattiveria in sala Quello che si dice ma non si scrive

The Endless River? «Una boiata nemmeno pazzesca». Guadagnino? «Nouvelle Vogue»

Cattiveria in sala Quello che si dice ma non si scrive

nostro inviato a Venezia

I film durano due ore, possono restare per l'eternità (pochissimi) o lo spazio di un festival (tanti), si recensiscono in 50 righe, e si possono stroncare con una battuta. Alla mostra del cinema di Venezia, tra sala stampa, feste, uscita dalle proiezioni e la bacheca dal titolo Ridateci i soldi che Gianni Ippoliti ha appeso nei giardini del Casinò dove appuntare critiche&lamentele, ne abbiamo sentite parecchie.

The Endless River , film sudafricano di Oliver Hermanus in corsa per il Leone d'Oro viene sommerso in sala da fischi e ululati. «Una boiata: purtroppo nemmeno pazzesca» (Federico Pontiggia, il Fatto quotidiano ).

L'attesa di Piero Messina, storia di un ragazzo che non torna mai a casa, si basa su un compromesso con lo spettatore: all'inizio del film noi vediamo un funerale cui la sua fidanzata non assiste. Tutti sanno che è morto, tranne lei. Film molto criticato. «Al cinema si può bleffare, ma non si dovrebbe barare, soprattutto non si dovrebbe barare su una bara». (Michele Anselmi, Il Secolo XIX ).

A metà proiezione de L'attesa : «Quanto manca alla fine?» (anonimo).

Di nuovo su L'attesa . Titolo di un quotidiano appeso sulla bacheca della rassegna stampa: «Messina divide i critici». Sotto, a penna: «Anche il pubblico. Metà lo ha stroncato, l'altra metà lo sto cercando per menarlo».

Su A Bigger Splash di Luca Guadagnino, patinatissimo e molto glamour remake de La piscina di Jacques Deray del 1969 con Alain Delon, Romy Schneider e Jane Birkin. «Dalla nouvelle vague alla nouvelle Vogue» (Marta Perego, di Iris).

In fila per la proiezione di Francofonia di Alexander Sokurov, regista russo celebre per la durata sterminata dei suoi film. Un collega, indeciso se entrare in sala o meno, chiede a Marco Giusti, «Aoo, ma quanto dura 'sto Sokurov?». Risposta: «Un'ora e 'sti cazzi».

Grandi applausi in sala per il falso documentario Pecore in erba , satira micidiale sugli ebrei. Racconta la vita di un feroce antisemita che diventa un eroe nazionale. Un collega è perplesso: «Trama troppo circoncisa».

A proposito. Da segnalare due battute che hanno fatto esplodere la sala di Pecore in erba . La prima è il titolo di uno dei film di successo prodotti dal feroce antisemita: «In fretta e Führer». L'altra è il motivo per il quale due terroristi arabi scaricano i kalashnikov contro un incolpevole venditore di supplì. Aveva chiesto semplicemente: "Aoooo, Ma 'o metto er Ketchup?".

Tatti Sanguineti che alla fine di ogni proiezione, sempre, senza eccezioni, quando gli chiede cosa ne pensa del film risponde: «Sto cercando di capire» (nella variante «Ci devo pensare»).

Il collega giornalista che la prima sera, alla proiezione della versione restaurata dell' Otello di Orson Welles ha letteralmente russato tutto il tempo.

«Ho fatto pace col cinema orientale grazie a Underground Fragrance del cinese Pengfei. Intelligente, sensibile e della durata rispettosa delle palle dello spettatore» (Stefano Disegni).

Su Looking for Grace di Sue Brooks: «In un'ora e quaranta di film l'unica idea buona è stata la mia di uscire prima che finisse» (anonimo).

Su Alberto Barbera, direttore della Mostra del cinema: «Barbera, ti preferivo quando lavoravi con Hanna» (Gianni Ippoliti, «Ridateci i soldi»).

A proposito dei film portati alla Mostra: «Il sorprendente Spotlight è stato messo fuori concorso. Se il Papa è andato a rifarsi le lenti da vista, quand'è che Barbera va dall'ottico?» (anonimo).

Ancora sulla mostra: «Vendo due biglietti per il treno Venezia-Roma del 12 settembre causa partenza anticipata dal festival» (cartello appeso in giro).

Su Boi Neon del brasiliano Gabriel Mascaro. «Dopo 101 minuti di puledri a membro ritto, masturbazioni animalesche, mandriani inondati da sperma cavallino, depilazioni pubiche in primo piano, scopate selvagge di donne incinte e bambine di nome Cacà affondate nello sterco, sui titoli di coda dal fondo della sala uno del pubblico grida “Bella merda“» (Malcom Pagani, il Fatto quotidiano ).

Il

regista iraniano Mohsen Makhmalbaf al quale a Venezia è stato assegnato il Premio Bresson 2015: «Se la Siria avesse avuto un cinema forte non avrebbe fatto ricorso alle armi» (cosa c'entra? Niente. Ma è una bellissima battuta).

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