Cultura e Spettacoli

Che bella "figura" fa ancora Messina

Una doverosa mostra "diffusa" celebra il grande scultore siciliano

Che bella "figura" fa ancora Messina

Perfetta è la sintonia tra le sculture di Francesco Messina (1900-95) e la città di Vercelli: entrambe possiedono quella bellezza discreta che richiede attenzione per essere apprezzata. L'occasione per coglierla in entrambe giunge dalla mostra diffusa Francesco Messina. Prodigi di bellezza che fino al 27 febbraio presenta 120 opere del maestro in tre diverse sedi del centro piemontese. Il numero dei lavori proposti non è casuale: pensata in epoca pre-covid, avrebbe dovuto celebrare i 120 anni dalla nascita dell'artista catanese annoverato, insieme a Manzù, Martini e Marini, tra i grandi scultori figurativi del '900, genere che oggi appare fuori tempo e che invece è capace ancora di sorprendere.

Messina, passato dalla Sicilia a Genova e poi approdato a Milano dove a metà degli anni '70 il comune gli concesse come atelier la chiesa sconsacrata di San Sisto al Carrobbio, divenuto dopo la sua morte museo civico è celebre per aver firmato sculture come il Cavallo morente per il palazzo RAI di Roma, che così spesso vediamo nei tiggì. E i cavalli non mancano nemmeno in questa ampia antologica curata da Marta Concia, Daniele De Luca e Sandro Parmiggiani e ospitata in gran parte nell'ARCA, lo spazio espositivo ricreato nella navata della chiesa di San Marco di Vercelli: qui, grazie ai numerosi prestiti dallo Studio Copernico di Nicola Loi, incontriamo il Messina che più seduce, quello che ritrae in modo amabile le ballerine (Carla Fracci, esile e determinata, o Luciana Savignano, con quel profilo così simile a Nefertiti). È nelle figure femminili che Messina dà il meglio di sé: non è un caso che sia proprio una candida scultura dedicata all'amata moglie e musa Bianca ad accogliere il visitatore in questo viaggio tra volti noti (gli amici Alfonso Gatto, Salvatore Quasimodo, Lucio Fontana) e volti comuni che punteggiano il (forse troppo denso) percorso espositivo. «Messina ha innestato tutta la sua opera sulla tradizione: quelle egizia, quella greco-romana e rinascimentale, quella delle sculture policrome e nella fedeltà a questo antico rigore sta la sua modernità», dice Parmiggiani.

Non sorprende pertanto che alcune delle opere migliori siano esposte nel Palazzo Arcivescovile, un piccolo gioiello situato accanto alla maestosa cattedrale: il Giobbe ignudo e inginocchiato del 33 occupa la prima sala, ma non meno interessanti sono i lavori su Adamo e Eva realizzati a metà degli anni '50 e le ultime sculture, prive di occhi, dei '90.

Messina riflette sul corpo (è bravo persino a modellare le ciglia delle sue ragazze di pietra) e sull'anima: De Chirico diceva che le sue sculture consolano chi le osserva con la loro mera presenza. La sensazione, oggi, è che siano ben più potenti di tante installazioni contemporanee: sfruttano materiali naturali (marmo, bronzo), per suggerire riflessioni universali.

Come la candida Estate Summertime del 1989, posta al centro della chiesa sconsacrata di San Vittore, e visibile solo dal sagrato, ancor più suggestiva di sera: è la tappa finale di un percorso espositivo che attraversa la Vercelli medievale, quella della bella piazza Cavour, per approdare ai viali novecenteschi, cornice ideale dei lavori di Francesco Messina, gran maestro di eleganza.

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