Che delusione questo omaggio a Rossini

L'idea di un omaggio collettivo per onorare la memoria di Gioachino Rossini nel primo anniversario della morte (1869) si deve a Giuseppe Verdi. Egli immaginò che i più distinti compositori italiani concorressero gratuitamente, contribuendo anche alle spese occorrenti l'esecuzione di una Messa «nel S. Petronio della città di Bologna che fu vera patria musicale di Rossini». Verdi non aveva fatto i conti con l'oste, l'impresario bolognese Scalaberni, che non concesse né i solisti né le forze artistiche del Comunale di Bologna. E così, nonostante il concorso di Verdi e l'impegno di undici colleghi, il progetto rimase in partitura per più di un secolo, fino alla riesumazione nel 1988. Nobile ed encomiabile lo spirito che animò il gruppo dei compositori, ma in questa Messa per Rossini non vi sono tesori nascosti. La sola gemma era ed è il Libera Me di Verdi, che per altro provvide a salvarlo, portandolo nella sua celebre Messa da Requiem per Alessandro Manzoni. Fra brani eterogenei, intonazioni pompose e fughe scolastiche, nell'esumazione guidata da Riccardo Chailly al Teatro alla Scala, si sono elevati sopra la stanchezza generale l'incisivo Dies Irae di Antonio Bazzini e il lirico quartetto di Federico Ricci (Recordare). Siamo in prossimità del centocinquantesimo anniversario della morte di Rossini (nel 2018).

Questa ricorrenza è sufficiente per la riproposta di questa non inedita trouvaille? Pare di sì. D'altro canto l'eccezione fu prevista da Verdi «per gli anniversari di Lui, quando i posteri credessero di celebrarli». Ubi major

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