Cannes - Se c'è una cosa che accomuna il folk americano fine anni Cinquanta, alla canzone napoletana dei Sessanta, alla musica andina dei Settanta, è la noia. Bravi, ma noiosi i suoi interpreti, ripetitive le canzoni. Diciamo l'insieme rispetto al particolare, naturalmente, ma si tratta di un'epoca in cui il passato sembra essersi cristallizzato e non produrre più nuovi frutti. Occorre uno scossone, perché tutto riparta e, per restare al primo caso, Bob Dylan è il nome che farà da spartiacque, l'innesto fresco di cui c'era bisogno.
Il difetto di Inside Llewyn Davis, dei fratelli Coen, ieri in concorso a Cannes, è proprio questo: immagina un cantante folk (ispirato a Dave Van Ronk) chitarra a tracolla e tristezza melodica sulle labbra, colto negli anni della grande glaciazione, quando il vecchio è stato tutto spremuto, ma il nuovo non è ancora maturato. Lui è consapevole dello stallo, vorrebbe fare altro, sempre in quel filone, ma nemmeno l'industria cinematografica è pronta al cambiamento, e quindi è un perdente su tutta la linea, in anticipo e insieme in ritardo... Solo che, per un pubblico non accostumato, non c'è poi troppa differenza fra il «song» che lui disprezza perché gli suona arcaico, e quello che lui ama perché lo ritiene moderno: da profani sembra la stessa lagna e quindi non si riesce a capire perché si danni tanto.
I film dei Coen sono sempre ben fatti, ricchi di quegli ammiccamenti cinematografici che fanno la felicità dei cinefili. E tuttavia, di là da una felicità espressiva e da una cura nella scelta degli attori, Inside Llewyn Davis lascia freddi: il «ribellismo artistico» non convince più di tanto quanto ai risultati, l'idea che si potesse nobilmente morire di fame per canzoni così lagnose non riesce a imporsi. Nel film c'è una battuta illuminante, affidata a John Goodman nella parte di Roland Turner, compositore e jazzman: «Credevo che tu fossi un musicista e invece fai della folk music». Ambientato nella New York del Greenwich Village, il film è anche uno spaccato di quell'America postbellica in cui la ripresa economica marcia di pari passo con l'isteria della «guerra fredda» e fa da camera di incubazione e/o compensazione a tutto il fenomeno della Beat Generation.
Il cast è una forza del film: dal protagonista, Oscar Isaac, alla sua amante e insieme ragazza del suo miglior amico Carey Mulligan, ovvero la Daisy del Grande Gatsby a Justin Timberlake (nel tondo), star della canzone, suo fidanzato, musicista e cornuto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.