Primo stop. Poi lui prende la rincorsa e dice tutto d'un fiato: «Non bevo più, niente droghe, neanche sigarette: è un miracolo». Ozzy è un ozzymoro: è un maledetto del rock benedetto dal Signore. Cantante (a modo suo). Padre (dell'heavy metal e di alcuni figli scatenati). E sopravvissuto (all'autodistruzione). Una vita che vale un film, spesso trash, qualche volta horror (seguitela su Sky Arte Hd venerdì nel documentario God bless Ozzy). A quasi 65 anni è ancora in piedi e persino un'equipe di scienziati lo ha analizzato per capire come ci riesca dopo decenni di alcol, droghe e psicofarmaci. «Non è che mi importi molto, sono fortunato e basta» dice a New York con una voce impastata a sufficienza. Dopo trentacinque anni Ozzy Osbourne ha riformato i «suoi» Black Sabbath (70 milioni di dischi venduti) con gli storici Tony Iommi e Geezer Butler e un batterista potentissimo, Brad Wilk dei Rage Against the Machine. Il disco si intitola 13 ed è come se il tempo si fosse fermato a 40 anni fa, diciamo all'epoca di Sabbath bloody Sabbath: cupo, ispirato, talvolta, come in Loner o in alcuni bridge chitarristici di God is dead? o Damaged soul, pressoché perfetto anche solo come regalo nostalgico. «Siamo rimasti in studio sei settimane e...e...». Secondo stop e seconda rincorsa: «Il merito di tutto è di Sharon e della mia famiglia se non mi sono perso per strada, non sono molto capace di rimanere concentrato a lungo». Dopotutto è Ozzy, bellezza.
Però uno dei brani si intitola Age of reason, l'età della ragione: sembrava un buon segno.
«Parlo di politici, religione, avidità: è questo mondo che mi impedisce di raggiungere l'età della ragione».
Almeno dopo 35 anni è tornato agli esordi: il primo disco dei Black Sabbath è uscito nel 1970 poi vi siete separati nel '78.
«Ci avevamo riprovato nel 2001 ma era tutto fallito. Adesso insieme stiamo bene come pesci nell'acqua. Al punto che in studio abbiamo provato tutti i nuovi brani per il tour. Mai successo prima».
A proposito: il concerto dei Black Sabbath del 5 dicembre a Milano è stato annullato.
«Ah sì, non lo sapevo».
Ma non suonerete più in Italia?
«Perché no? Magari anche qualche show in tv. Come quello famoso, come si chiama, ah ecco: il Festival di Sanremo».
I Black Sabbath ospiti a Sanremo?
«Perché no? Conosco qualche cantante italiano, Jovanotti ad esempio vero che è italiano?».
Il pubblico non musicale ha conosciuto Ozzy grazie alla fiction di Mtv, The Osbournes.
«Accidenti, basta televisione»
Ma gli Osbournes sono diventati un must e hanno anche vinto un Emmy.
«Impossibile però resistere in quel caos. La tv è un caos. Ne guardo sempre tanta, ma non voglio più starci dentro».
Però è sempre più decisiva per giovani cantanti e musicisti.
«Quand'eravamo giovani noi, non c'era e non è certo merito della tv se sono nati Robert Plant o Mick Jagger».
Qual è la differenza?
«Boh e che ne so? Forse noi avevamo fame ed eravamo poveracci disposti a tutto pur di farci ascoltare da qualcuno. Eravamo forti e resistenti, io volevo diventare come Paul McCartney. Oggi, ovunque, i debuttanti mi sembrano molto deboli e senza idee. Anche per questo non ascolto più musica che non sia la mia».
A proposito: come sono nati i brani?
«Come ai vecchi tempi: Tony aveva un bel giro di chitarra, scrivevo il testo (o lo scrivevamo insieme) poi lo cantavo e tutto finiva lì. Anche stavolta è andata così. Beh no...».
Perché no?
«Perché avevamo un produttore con le palle: Rick Rubin, l'uomo con la barba più lunga che c'è. Ad esempio è stato lui che ci ha fatto conservare le parti jazz del brano Zeitgeist: per noi erano un semplice divertimento».
In ogni caso la sua voce si riconosce subito.
«Prendo anche lezioni di canto, sa? Anche se durante i nostri primi due concerti in Nuova Zelanda ho avuto problemi. La differenza in fondo dipende anche da altro».
Ad esempio?
«Per tre decenni sono stato un solista. Ora sono tornato a fare il cantante di una band: fine dell'egoismo e inizio della fratellanza».
Però dedica il disco a suo
«È l'uomo che avrei voluto essere ma non sono stato. Per molti sono un idolo: in realtà sono soltanto molto, molto fortunato a esser ancora qui con il cuore che batte».
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