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Chi è la (vera) regina degli scacchi? Ecco svelato il mistero

Beth Harmon è esistita davvero? Sì e no. Tutta la verità su La regina degli scacchi

Chi è la (vera) regina degli scacchi? Ecco svelato il mistero

"Fu la scacchiera a colpirmi. Esiste un mondo in quelle 64 case. Mi sento sicura lì. Posso dominarlo ed è prevedibile. So che se mi faccio male è solo colpa mia". Ne è convinta Elizabeth Harmon, protagonista della serie "La regina degli scacchi", interpretata da una perfetta Anya Taylor-Joy. La fiction, uscita su Netflix il 23 ottobre, ha scalato in poche settimana la classifica, rientrando tra le prime dieci serie più viste in Italia. Non è difficile immaginare il perché.

La trama

"The Queen’s Gambit" - questo il titolo originale che fa riferimento al "Gambetto di donna", una mossa tipica del gioco - è ambientato negli Stati Uniti tra gli anni ’50 e ’60. Racconta la storia di un’orfana, che ad appena otto anni scopre di avere un talento per gli scacchi. Nel seminterrato dell’orfanotrofio femminile in cui cresce, Beth impara a giocare grazie all’aiuto del custode, William Shaibel, che ne riconosce le potenzialità e l’aiuta ad avviare la sua carriera, dandole i soldi per partecipare al suo primo torneo. Dopo essere stata adottata da Alma Wheatley, Elizabeth inizia a viaggiare per il mondo accumulando più di una vittoria. Beth riesce a imporsi in una realtà a misura d’uomo, in cui le donne non trovano spazio. Ma lontana dalla scacchiera, è una ragazza sola, dipendente da tranquillanti e alcool, che fatica a fidarsi degli altri. Solo sconfiggendo i suoi fantasmi, diventerà la Regina degli scacchi.

Elizabeth Harmon è esistita davvero?

La trama avvincente porta lo spettatore a sperare che si tratti di qualcosa accaduto realmente, in un passato non troppo lontano. Ma il personaggio di Beth nasce dalla penna di Walter Tevis, scrittore americano e scacchista dilettante, autore del romanzo omonimo "The Queen’s Gambit" (1983). In un’intervista del New York Times, Tevis ha raccontato del suo passato da campione di "serie C" e di aver assunto da bambino delle "dosi massicce di medicine" per problemi al cuore. Le analogie con Beth sono palesi.

Molti hanno visto in lei la determinazione di Bobby Fischer, il primo americano ad aver battuto i russi negli scacchi, gioco da sempre molto popolare. Fischer è stato anche il primo giocatore a mantenersi economicamente partecipando ai tornei. Ma è stato anche un grande misogino, per questo altri hanno rivisto in Beth l’ungherese Judit Polgár, probabilmente la migliore scacchista finora mai esistita, la prima ad aver fatto scacco matto a un uomo.

Anche in Italia, però, abbiamo una campionessa degna di nota, che con Beth Harmon ha molto in comune. Il suo nome è Marina Brunello, classe 1994, diventata Campionessa italiana a soli 14 anni e Maestro Internazionale dal 2019. "Ho imparato a cinque anni – racconta al ilGiornale.it -. Era il gioco di casa. Il mio signor Shaibel è stato mio fratello". Come Beth, crescendo, è diventata una giocatrice che ama rischiare: con il nero gioca anche lei l’apertura Siciliana - termine usato di frequente nella serie e che indica il modo in cui si inizia la partita - perché "porta a un gioco tagliente e ricco di possibilità per entrambi i colori".

Ascoltandola, sembra di avere davanti La regina degli scacchi.

Cosa ti piace di questo gioco?

"Gli scacchi sono ricchi di scelta. Quando vinci o perdi è solo merito tuo. Sei libero quando giochi. Non sono mai riuscita a fare una partita uguale all’altra, perché ognuna ha una sua storia. Non è solo una sfida razionale tra due cervelli, c’è molto altro. Davanti a una mossa, dobbiamo valutare le varie possibilità e poi scegliere anche seguendo l’intuito. Quando non lo faccio, mi trovo sempre male".

Cosa hai apprezzato della serie?

"Mostra bene la vita di una scacchista: i sacrifici, i viaggi, lo sforzo e la disciplina necessari per la preparazione di un torneo. Si studia e ci si allena tutti i giorni, specie in prossimità di una gara. Davanti alla scacchiera c’è adrenalina e nervosismo. Hai tantissime responsabilità. Quindi, di sera, bisogna staccare e scaricare la tensione, anche bevendo un bicchiere di vino con gli amici, ma senza esagerare. Se ti presenti ubriaco a una partita, giochi peggio. Non ci piove. Molti scacchisti bevono di sera, ma pochi a pranzo".

Esiste il doping negli scacchi?

"I tranquillanti non ti fanno vedere nessuna scacchiera. Non si è trovata una medicina che ti faccia diventare più forte. Per 'barare' negli scacchi l’unico modo è l’utilizzo di mezzi elettronici. Ma non è facile. Nei tornei ci sono i metal detector e l’arbitro può decidere di perquisire il giocatore se ha un sospetto. Se ti beccano sei fuori e puoi andare incontro a delle sanzioni, che vanno dal richiamo fino alla sospensione".

Nella realtà come funzionano i tornei?

"Ogni Nazione ha il suo campionato. Poi ci sono le competizioni a livello Internazionale. Molti tornei sono Open, cioè aperti a tutti, a prescindere dall’età e dal genere. Sai contro chi ti sfiderai solo la sera prima e hai poco tempo per prepararti contro l’avversario. Ogni torneo è composto da nove partite, e ogni partita dura in media quattro ore e finisce nella stessa giornata. Per il primo turno, i giocatori vengono ordinati esclusivamente in base al punteggio Elo. È un valore di riferimento e si ottiene giocando ai tornei. Il punteggio base è 1440 e basta partecipare a un torneo per ottenerlo. Quando vinci aumenta e quando perdi diminuisce. Viene aggiornato una volta al mese. Nel secondo turno, si tiene conto anche delle vittorie al torneo. Quando vinci una partita hai un punto, quando pareggi mezzo, quando perdi zero. Si scontrano tra loro persone con un punteggio simile per avere una competizione equa".

Qual è il torneo più difficile?

"Per me sono complicati l’Europeo individuale femminile e l’Olimpiade. A settembre avrei dovuto partecipare alla Coppa del Mondo femminile in Bielorussia, ma è stata rimandata a causa del Covid-19. Non ci ho mai giocato, ma dovrebbe essere una gara più impegnativa dell’Europeo e dovrò studiare molto. Ci sono solo 64 partecipanti".

I russi sono ancora i giocatori più forti al mondo come si vede ne "La regina degli scacchi"?

"Gli scacchi sono il terzo sport in Russia. Ai tempi dell’Unione Sovietica era un gioco molto popolare. Per anni il campione del mondo è stato russo. Ora, però, il miglior giocatore è norvegese, si chiama Magnus Carlsen e ha 30 anni. La Russia rimane uno dei Paesi più forti, insieme a tutti gli Stati dell’ex Urss, Cina, Usa e India".

Beth è l’unica donna a raggiungere il successo. Gli scacchi sono un’attività prettamente maschile?

"Le donne iscritte alla Federazione Italiana Scacchi dovrebbero essere meno del dieci per cento. Gli scacchi sono considerati uno sport maschile. Mi sono sentita dire più volte che le donne giocano peggio degli uomini. Il maschilismo si percepisce, ma non tutti i giocatori sono così. Poi, il punteggio Elo è universale, non tiene conto del genere. È un bel messaggio".

Perché accade?

"È un dato culturale. Fino a quando tratteremo qualcuno come donna o uomo, prima ancora che come persona, non avremo la parità di genere. Inutile cercare parità nello sport se non c’è nella società".

Ma è una cosa solo italiana?

"No, negli scacchi è abbastanza generalizzata, con qualche eccezione. In Georgia gli scacchi al femminile sono portati avanti.

Hanno avuto molte campionesse del mondo e il ruolo delle scacchiste è rispettato".

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