Cultura e Spettacoli

"The Father", un crepuscolo dolente chiamato Alzheimer

Un film elegiaco che mostra il decadimento neurologico dal punto di vista del malato, regalando allo spettatore un’esperienza provante, necessaria e preziosa. Oscar meritatissimo a Hopkins

"The Father", un crepuscolo dolente chiamato Alzheimer

In The Father - Nulla è come sembra, opera prima di Florian Zeller premiata con due oscar (sceneggiatura non originale e attore protagonista), va in scena il ritratto in soggettiva di una malattia che distrugge passo dopo passo l’auto-percezione dell’identità.

Anthony (Hopkins) è un ottuagenario elegante e dignitoso che, nonostante sia affetto da demenza senile, vive da solo nel suo appartamento londinese. Benché la figlia Anne (Olivia Colman) cerchi di imporgli un’assistenza domiciliare fissa, l’uomo rifiuta di avere una persona di supporto ma si rende conto, sempre più, di iniziare a dubitare della propria mente e persino della veridicità della realtà circostante.

Debitore delle proprie radici teatrali, il film è un dramma da camera in cui i salti temporali (reali o meno), i buchi logici e la ridondante ciclicità permettono allo spettatore di esperire sensorialmente un disorientamento paralizzante.

L’assenza di coordinate spazio temporali e il progressivo disfacimento della facoltà mnemonica condannano il malato di Alzheimer a peregrinare in un presente infinito e smarrito, in un limbo proprio di chi non è più. Dimenticare, infatti, equivale a perdere se stessi.

Tutto questo è reso grazie a una regia asciutta, ad una costruzione estetica di sontuosa precisione e ad un montaggio frammentato.

“The Father” procede come una continua variazione della stessa partitura narrativa, con situazioni vissute in loop che differiscono l’una dall’altra per alcuni particolari: una vera rappresentazione estetica del caos mentale che si trova a vivere il protagonista.

L’appartamento è anch'esso un personaggio, funzionale alla crescita dell’inattendibilità percettiva del proprietario. Hopkins, magistrale nel rendere in modo controllato la giostra emotiva vissuta da questo anziano ora spaventato, ora arrabbiato e confuso, si guadagna giustamente il secondo Oscar della carriera (dopo quello del 1991 per “Il silenzio degli innocenti”). Il suo è un grande vecchio, autoironico nel concedersi alcuni momenti di fisica eccentricità come la simulazione di passi da tip tap, eppure in grado di perdere la propria centratura in un istante e farsi piccolissimo, debole e bisognoso come un infante. Non è da meno l’apporto recitativo di Olivia Colman che, nei panni della figlia, rappresenta le vittime collaterali del deterioramento cognitivo di una persona: i suoi cari. Della sua Anne sappiamo ogni volta cose diverse, ora è sposata, ora divorziata, ora in procinto di andare a vivere a Parigi col compagno, di sicuro la meno preferita tra due figlie. La sua dedizione al padre sconfina in un’abnegazione che minaccia di sottrarle lo sguardo e la progettualità in ambiti vitali che non contemplino la presenza del genitore. A volte è come se la guardassimo continuare ad annullarsi in un rarefatto saluto a qualcuno che in certi momenti se ne è già andato.

Altri film come “Still Alice” osservavano le conseguenze di un tale disfacimento dall'esterno; “The Father”, invece, lo mette a fuoco dall’interno, dalla prospettiva di chi ne sperimenta la frustrazione in prima persona. Le false convinzioni, i vuoti di memoria, la percezione alterata della realtà, consacrano tutto al dubbio. Ed è toccante riflettere su come le sinapsi ancora in formazione di chi si affaccia al mondo e quelle logore di un essere umano che sta per congedarsene abbiano la stessa preziosa fragilità.

The Father", però, non descrive l’ultra-vecchiaia come regressione al bisogno materno.

Rivela semmai l’illuminante chiusura del cerchio: l’esistenza non è che l’intervallo di tempo sospeso tra chi non si è ancora e chi non si è più.

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