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Il «circo» degli Stones mette in scena l'eterna truffa del rock

Grande musica, (finta) ribellione e industria milionaria. Mick e soci danno ancora lezione su cosa sia il vero pop

Il «circo» degli Stones mette in scena l'eterna truffa del rock

Roma - Si capisce davvero solo quando Mick Jagger arriva fin quasi al cuore del pubblico correndo (piano, molto piano) sulla passerella. It's only rock'n'roll but I like it, il terzo pezzo, una furia. I Rolling Stones, signori, sono ancora la più grande rock band del pianeta perché basta un accordo della chitarra scrostata di Keith Richards per scatenare il finimondo al Circo Massimo ed è lo stesso accordo che risuona da decenni, per fortuna immutabile. Ore 22: qui in un circo nato a tempi di Tarquinio Prisco e diventato imperiale con Traiano, la storia (del rock) incontra la storia (dell'Occidente) e la fa propria. «L'Italia vincerà la Coppa del mondo, martedì 2 a1 per l'Italia», urla lui in italiano e tutti sanno che spesso azzecca questa previsioni (ad esempio nell'82 a Torino). Ovazione. Visti dall'alto i settantunmila e rotti tifosi sembrano una gigantesca linguaccia che esce dal palco mentre quattro settantenni ci danno dentro come trentenni, qualcuno con le rughe profonde come canyon (Ron Wood) e qualcuno con le dita deformi per l'artrosi (Keith Richards), tutti davanti a un batterista di 73 anni che, compassato come un lord, suona preciso come un metronomo.

E poi c'è lui, Mick Jagger, che ha la stessa età di Mario Monti ma è un filo più in forma: magrissimo, quasi provocatorio con una maglia trasparente, è il meraviglioso marketing manager di un genere musicale che gli Stones hanno inventato declinandolo poi a piacere. Un po' Brown sugar (inno all'esagerazione che chiude il concerto prima dei bis). Un po' Symphaty for the devil (luciferina e ispirata a Il Maestro e Margherita di Bulgakov). E un po', anzi molto, glam, ossia pop: diventando un'icona del Novecento. Gli Stones sono metarock e pure metadiscografici, vanno oltre. Finita l'ispirazione, hanno capitalizzato il patrimonio. Chi si ricorda il loro ultimo disco? Solo i loggionisti. Ma tutti conoscono i loro brani più famosi anche perché la band da due decenni porta in tour il proprio greatest hits: da Tumbling dice a Gimme shelter che anche qui si conferma come una delle canzoni più belle in assoluto perché Mick Jagger la canta come se la stesse tuttora vivendo. D'altronde è un brano sulla paura ed è ovvio che lui ne abbia tanta. Di invecchiare, visto che fa tutto per far finta di no. E di essere sepolto dal suo personaggio. Forse per questo, quando sale sul palco quasi entusiasta di esser dentro a un monumento più grande di lui, lascia tutto fuori.

Le polemiche sul suicidio della compagna L'Wren Scott e sulla sua rapida sostituzione con Melanie Hamrick, 27 anni, ballerina. E quelle sulla gestione del concerto («Ha letto tutto», dicono gli organizzatori). Perciò lo show dei Rolling Stones è una parentesi della cronaca pur essendo sempre di clamorosa attualità. Ed è un kolossal juke box. Persino la scelta di includere in scaletta un brano scelto dal pubblico (stavolta ‘Respectable' con il supporter John Mayer sul palco) è la conferma che questi quattro settantenni suonano per il pubblico e non per loro stessi, come altri (vedi Bob Dylan) che hanno il vezzo di stravolgere i brani. Ennò. Ogni classico degli Stones appartiene alla gente e viene presentato tale e quale. Ogni volta, un boato. Il meccanismo funziona, bisogna ammetterlo. E lo dimostrano anche Beppe Grillo, Zucchero e Sorrentino, tra gli altri, che non hanno rinunciato a prendersi il biglietto. Dopotutto, a parte Doom and gloom, il brano più baby in scaletta è Start me up, 33 anni per servirvi, che la band usa talvolta come apertura del concerto, alternandola a quella Jumping Jack Flash (la prescelta a Roma) che ha un riff blues praticamente irresistibile. Keith Richards, che ha lasciato ingrigire i capelli selvatici e li avvolge con una bandana giamaicana, lo suona quasi grattando sulla tastiera manco volesse violentarla. Lui e Ron Wood si intendono al volo, fanno i passi giusti al momento giusto, senza neppure bisogno di guardarsi negli occhi. Certo, nessuno ha la tecnica di Mick Taylor, che la chitarra l'ha studiata per davvero. E' rientrato a casa, ossia negli Stones, due anni fa e spunta qui e là durante le due orette scarse di concerto (ad esempio in Streets of love) suonando persino la tastiera. Per capirci, in Satisfaction, che chiude baracca e burattini mentre il pubblico balla ancora, è lui a tenere in piedi il gruppo che si è sciolto nella stanchezza senza perdersi per strada neppure un po'. E quando l'ultima nota rimbomba ancora nell'aria, qualcuno si chiede: gli Stones ritorneranno? Chissà, l'anagrafe ahimé conta più del rock. Però non spariranno.

I veri monumenti, si sa, se ne fregano pure dei restauri.

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