Cultura e Spettacoli

Il Clooney politico della conferenza stampa di "Suburbicon"

Presentando il suo nuovo film ai giornalisti al Festival di Venezia, George Clooney si sofferma a lungo sul problema irrisolto dei conflitti razziali

Il Clooney politico della conferenza stampa di "Suburbicon"

Alla 74ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia ieri è stato il giorno di "Suburbicon", il film con cui George Clooney, giunto oramai alla sua sesta regia, è in concorso.
Frutto dell'ennesima collaborazione con i fratelli Coen, che ne scrissero una prima sceneggiatura (oggi rielaborata con Clooney e Grant Heslov) nel lontano 1986, "Suburbicon" è una commedia nera in cui l'ironia va a braccetto con la denuncia sociale.
Tra battute sarcastiche e violenza, l'impronta irriverente e politicamente scorretta dei Coen è evidente. Stavolta però i personaggi non sono semplicemente bizzarri e il film lascia un retrogusto amaro, un senso d'ingiustizia e frustrazione che emerge nitido dietro alla farsa.
Suburbicon è il nome di un'idilliaca comunità che sembra uscita da una cartolina: quella di un'America anni 50 fatta di villette e prati ben curati. L'arrivo nella cittadina di una famiglia afroamericana, però, fa saltare da un giorno all'altro gli equilibri di buon vicinato. L'omicidio che avviene dopo poco in casa della famiglia Lodge, a seguito di un'intrusione, dà il colpo di grazia: paranoia e pregiudizi iniziano a dilagare. Gli abitanti riveleranno quanto sotto la loro apparenza irreprensibile alberghino intolleranza, violenza e tradimenti.
Mettere in scena le tensioni razziali degli anni Cinquanta è, nell'intento dichiarato del regista, un modo per sottolineare come siano ancora presenti nell'America di Donald Trump.
Durante la conferenza stampa che si è tenuta al termine della proiezione è stata più chiara che mai la volontà di Clooney di portare alla luce considerazioni a lui care e che riguardano l'attuale panorama politico americano.
Il regista, davanti ai giornalisti, racconta di essere cresciuto negli anni 60 e 70 in mezzo ai movimenti per i diritti civili che pensava avrebbero cambiato uno stato di cose che invece permane. Si rammarica del fatto che "certe problematiche, sfortunatamente, non passano mai di moda in America", aggiungendo "non abbiamo mai affrontato le nostre discriminazioni razziali" per poi chiosare, più avanti, "sono parte integrante della nostra storia e lo saranno ancora a lungo".
"Guardiamo nella direzione sbagliata, stiamo incolpando le minoranze dei nostri problemi", ritiene. Quando gli viene fatto notare che rispetto ai soliti personaggi partoriti dalla fantasia dei fratelli Coen questi appaiono più spietati, mette in evidenza che i protagonisti si snaturano in itinere, durante il film, dopo una serie di stupidi errori commessi grazie al talento di fare sempre la cosa sbagliata. "Si diventa mostri in base alle scelte che facciamo" è il concetto che tiene a far arrivare ai presenti.
"Il paese sta raggiungendo il massimo livello di rabbia" mette in guardia, ma lui non manca di essere positivo: "Io credo nei giovani e nelle istituzioni. Sono patriottico e ottimista".
Incalzato da qualche giornalista in cerca di affermazioni contro l'attuale presidente americano (da lui recentemente definito incapace in un'intervista), Clooney si fa diplomatico e ammette che nessuno poteva prevedere l'arrivo di Trump e che i problemi, ancora attuali, cui fa riferimento il film sono da sempre connaturati al ceto medio americano.

Ma quando gli viene chiesto se si stia preparando a diventare il prossimo Presidente, abbozza un sorriso nervoso e amaro, ammette che potrebbe essere divertente e lascia che sia Matt Damon a concludere: "Andrebbe bene chiunque al posto dell'attuale".

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