Da Codreanu ai Beat Eliade studioso del sacro nel turbine della storia

Fu uomo di destra ma curioso degli hippies Gli anni felici a Parigi con Ionesco e Cioran

Francesco Perfetti

Una celebre immagine mostra Emil Cioran, Eugene Ionesco e Mircea Eliade in piedi, in una piazza di Parigi, intenti in una conversazione rilassata e amichevole. La foto venne scattata nel 1977 nello stesso luogo dove i tre intellettuali rumeni si erano rivisti, una trentina di anni prima, nel settembre 1945, dopo le drammatiche vicende della guerra mondiale e il tragico destino della loro patria. Eliade era giunto dal Portogallo dove era stato inviato nel 1941, da Antonescu, come membro della legazione romena in qualità di addetto alla propaganda. Ionesco e Cioran vi erano già da molto tempo: erano giunti entrambi a Parigi nella seconda metà degli anni Trenta, per scrivere le loro tesi di dottorato e vi erano rimasti anche durante il periodo bellico. Quando, poi, alla fine del 1947, dopo la deposizione del re Michele e la presa del potere da parte dei comunisti, il governo romeno invitò borsisti e intellettuali a rientrare in patria, essi decisero di rimanere nella capitale francese.

I tre si conoscevano da tempo ed erano quasi coetanei: due anni li separavano l'uno dall'altro. Eliade era nato nel 1907, Cioran nel 1909, Ionesco nel 1911. Tutti avevano avuto un percorso politico nazionalista, ma Ionesco era poi passato su tutt'altre posizioni, contestando sia il nazionalismo sia il «fascismo romeno». Del terzetto, Eliade era il più noto e il più attivo. La sua biografia, intellettuale e politica, è stata ricostruita da Alessandro Mariotti in un bel saggio dal titolo Mircea Eliade. Vita e pensiero di un Maestro d'Iniziazioni (Castelvecchi, pagg. 190, euro 22). La sua fame di conoscenza si era manifestata presto e la lettura, per lui neppure ventenne, di Un uomo finito di Giovanni Papini era stata determinante. Un punto fermo, ribadito anche molti decenni dopo, quando nel 1959 riconobbe che «ogni contatto con l'opera di Papini agita le acque sotterranee nelle quali è immerso tutto il mio passato». Poi c'era stata la scoperta dell'India e della sua cultura: un lungo soggiorno, fra il 1928 e il 1931, per preparare la tesi di dottorato, con lo studio della spiritualità indù e lo stretto rapporto con il filosofo Surendranath Dasgupta. Tornato a Bucarest, Eliade si era impegnato a fondo nella vita intellettuale del suo Paese con articoli, conferenze, romanzi, saggi diventando, giovanissimo, un punto di riferimento culturale. Si era dato anche alla politica sostenendo Codreanu e i legionari della Guardia di Ferro: questo impegno, secondo l'autore della biografia, era una conseguenza del suo disprezzo per «la politica populista» che gli appariva «povera di grandi ideali e che finiva per svilire le più alte aspirazioni del popolo romano». Inoltre, esso era dettato anche «dal desiderio intimo di soddisfare l'impetuoso bisogno d'avventura, dalla voglia di sensazioni forti , dall'impulso tragico che lo portava verso il sacrificio di sé, dalla nostalgia per la gioventù ormai perduta» che gli faceva desiderare «il recupero di un'epoca autentica, genuina».

Le simpatie di Eliade per l'estrema destra e i regimi di tipo fascista si erano manifestate anche in piena guerra. Inviato a Londra come funzionario diplomatico nel 1940 era stato guardato con sospetto dai servizi segreti inglesi, che lo consideravano, recita una nota del Foreign Office, «il più nazista dei membri della legazione» romena. Proprio a Londra, sotto i bombardamenti tedeschi, Eliade aveva teorizzato il «terrore della Storia» e la necessità di partecipare agli eventi: «la Storia è tonica e feconda per quelli che la fanno, ma non anche per quelli che la sopportano». Poi era stato trasferito a Lisbona, dove aveva apprezzato Salazar al punto da scriverne una biografia politico-intellettuale. Nel diario di quel periodo si trovano annotazioni entusiaste nei confronti del dittatore portoghese, dichiarazioni di anticomunismo viscerale e timori per la possibile vittoria dei comunisti, «gli assassini rossi, che di fronte agli altri assassini politici hanno il merito di operare in grande scala, per milioni, gli assassini rossi attesi come i liberatori dell'Europa». Si trovano anche commenti indignati sull'8 settembre: «Niente faceva supporre che gli italiani potessero essere dei servi. Ora sono convinto di sì. La loro uscita dalla guerra è stata tanto vergognosa come la loro entrata». E sull'eccidio di Piazzale Loreto: «L'ultima briciola di stima per il popolo italiano è scomparsa. Popolo di servi, di traditori e di ruffiani».

Quando giunse a Parigi ritrovò gli amici romeni di un tempo, da Cioran a Ionesco, e cominciò a frequentare i caffè di Montparnasse e di Saint Germain incontrando personaggi famosi, o destinati a diventare tali, da Dumézil a Bataille, da Jung a Kérenyi, da Breton a Caillos... Sui suoi trascorsi politici e sulle antiche simpatie per la destra radicale manteneva il silenzio con tutti, tranne forse con Cioran. Ionesco confessò una volta, a proposito di Eliade e Cioran, che non poteva vederli proprio per il loro passato perché essi non potevano distaccarsene: «Rimangono legionari, quand'anche non lo volessero». Eppure, col tempo, il rapporto fra i tre divenne sempre più stretto, cementato dal comune odio viscerale nei confronti dell'imperante totalitarismo comunista. E fu un rapporto costruito all'insegna della rimozione del passato, come dimostrò un bel saggio di Alexandra Laignel-Lavastine dal titolo Il fascismo rimosso: Cioran, Eliade, Ionesco. Tre intellettuali rumeni nella bufera del secolo (Utet, 2008).

Alcune delle opere più belle e più famose di Eliade a cominciare da Il mito dell'antico ritorno e dalla prima parte del Trattato di storia delle religioni furono scritte o pubblicate proprio durante gli anni parigini che appaiono, perciò, i più fecondi oltre che quelli che gli garantirono la notorietà mondiali. Le direttrici fondamentali del suo approccio allo studio della fenomenologia delle religioni la scoperta del rapporto dialettico tra «sacro» e «profano»; la valorizzazione del «rito», del «mito» e del «simbolo» come manifestazioni del «sacro»; la nostalgia dell'arcaico e l'idea del «ciclo» cosmico che si concretizza nell'«eterno ritorno» si svilupparono nell'effervescente clima culturale della Parigi degli anni Cinquanta. E non è un caso che egli, trasferitosi negli Stati Uniti nel 1956 come professore all'Università di Chicago, tornasse più volte a volte in Francia e pubblicasse alcune sue opere in francese.

Gli anni americani di Eliade coincisero, almeno in parte, con il periodo delle proteste politiche contro la guerra nel Vietnam e della contestazione studentesca contro le istituzioni accademiche. Lo incuriosirono quei giovani «barbuti, coi capelli da zingari, vestiti nel contempo in maniera eccentrica e povera, hippie, specialisti di LSD e mescalina»: giovani, scrisse, che «amano la vita, sono ottimisti e trovano che tutto ciò che succede loro ha un senso e un significato».

Per questo, forse, Eliade, pur rimproverando alla democrazia americana un «eccesso di tolleranza», non esitò a incontrare il poeta Allen Ginsberg e a porsi il problema se quel mondo giovanile così privo di regole non esprimesse, alla fine, una modalità di ricerca del sacro in una società materialista e desacralizzata. Ma, al netto di tutte le sue curiosità intellettuali, Eliade rimase sempre, fino all'ultimo, un uomo di destra. E, soprattutto, un anticomunista inossidabile.

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