Un cofanetto per i 90 anni di Christa Ludwig

L'opera è un'arte impossibile, se possiamo chiamarla arte». Quest'affermazione è ancora più paradossale quando si scopre che è stata pronunciata, alla fine di una straordinaria carriera cinquantennale (dal 1946 al 1994), da Christa Ludwig. «Anche quando si muore, si canta una lunga aria. Non è assurdo?». Rendere verosimile l'assurdo è la magia di un artista come Frau Ludwig, la quale il 16 marzo scorso ha compiuto novant'anni (uno splendido cofanetto dei suoi recital è stato pubblicato per l'occasione da Warner). La sua voce educatissima - timbro vellutato, caldo e autunnale, ideale per i lieder di Brahms e Mahler - è stata amata e contesa dai direttori più grandi del suo tempo (la sua troika ideale: Bernstein, Böhm e Karajan ovviamente in ordine alfabetico!) Berlinese adottata a Vienna, Christa Ludwig ha nobilitato tutte la parti che ha interpretato: perfino l'insulsa Federica della Luisa Miller di Verdi cantata da lei diventava un'affascinante arciduchessa austriaca. Ha interpretato quasi tutti i grandi ruoli del mezzosoprano non solo nel repertorio tedesco, non cedendo alle sirene di tessiture troppo acute che le piacevano molto ma che avrebbero compromesso la tenuta vocale (a eccezione di quando cedette a Karajan per Fidelio a Salisburgo).

Tutto quello che ha fatto, lo ha fatto sempre mantenendosi avida di imparare, ascoltando i consigli saggi di sua madre (Eugenie Besalla, soprano) e catturando le suggestioni «come ascoltatrice di Maria Callas, del legato dei grandi violinisti, di Bernstein e Marlene Dietrich, di Lotte Lenya e Jimi Hendrix.»

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