Colloridi, o le foto alchemiche che rubano un pezzo di anima

Nino Spirlì

Non lo nacque, fotografo. O, forse, sì, ma non lo seppe da subito. Il più estroso fra i «registi fotografi» calabresi, che non disdegna di rendere infiniti anche i sogni di giovani sposi, è stato schiaffeggiato dalla fotografia in un torrido agosto di qualche anno fa. Un richiamo al proprio destino, mentre le necessità lo portavano a muoversi nel mondo come la spola di un antico telaio di legno, fra incarichi da geometra e impegni da agente di commercio; sudate sessioni da sportivo in palestra e sui campi e appassionate immersioni nella buona cucina, nell'architettura, nella musica. Analfabeta di obbiettivo, andò a bottega, fino a quell'attonito primo scatto ad un deposito ferroviario riflesso su se stesso. Una potente denuncia dell'abbandono statale del Sud Ladro della luce, da sapiente e prepotente caravaggesco, Salvatore Colloridi interpreta, oggi, l'amore amicale con scatti pittorici di appassionata universalità.

Tanto per tramandare i buoni sentimenti a future generazioni destinate, ahimè, al selfie cafone o alla posa fototelefonica approssimativa e caciarona. Siamo in molti ad attendere, pazienti, da lui, un ritratto. Quello per sempre. Che rubi, rapace, un angolo d'anima

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica