Quando nel pomeriggio di un sabato di fine luglio lascio lo studio di Laurina Paperina ho in testa due cose: la prima è come evitare la coda apocalittica sulla Modena-Brennero, la seconda è spiegarmi perché, con questa artista che ho visto oggi solo per la terza volta in vita mia, l'incontro mi è sembrato invece quello con una vecchia amica d'infanzia che frequento tutti i giorni. La risposta al primo interrogativo, a pensarci, contiene anche quella al secondo: non entro a Rovereto sud, che è il casello a due passi dallo studio, dove la A22 è intasata, ma scendo con la provinciale fino all'ingresso di Ala passando tra prati tagliati di fresco, casette, masi, fontane, sopra di me le montagne che svettano, più su ancora un cielo azzurrissimo. Laura Scottini, nota nel mondo dell'arte come Laurina Paperina, è di qui, e questa naturalezza, bellezza, schiettezza del paesaggio, allegra, fresca e cristallina, è travasata nel suo carattere. Anche se lei, mi ha detto, ora si sente un po' più signora e un po' meno grunge, da che ha smesso con le piccole tavole che prima sfornava una al giorno e dipinge invece su classiche tele di grande formato. «Ah grunge, non punk?» ho chiesto. Ci ha pensato un attimo: «Anche un po' punk. Ma la mia generazione è cresciuta con il grunge». In effetti lei è nata nel 1980, il grunge è esploso negli anni 90, e a ben guardare Laurina Paperina non ha nulla del nichilismo punk, ma molto, invece, dell'anticonformismo disordinato, rilassato e amichevole, che fu della scena grunge. In ogni caso oggi indossava una t-shirt, degli shorts di jeans, e scarpe da basket. Su cui, in punta, c'erano disegnate a biro due faccine che ridono.
Lo studio di Laurina Paperina, altrimenti detto Duckland («She lives in Duckland, a small town in the universe» recita la prima riga della sua biografia), è all'interno di un complesso in architettura brutalista a sud di Rovereto, una struttura imponente di cemento armato, il cui fronte è un hotel vista autostrada. Allo studio si accede da dietro, salendo in auto per una rampa circolare. Duckland a parte, sul retro ci sono solo magazzini e uffici, siamo nel weekend, dunque è tutto deserto. La sensazione, vagamente sinistra, è di essere sulla scena di una di quelle serie tv surreali che sono una specialità tutta inglese, Black Mirror tanto per fare un esempio recente. E surreale ma per niente sinistro, anzi allegro e confusionario e folle, è stato anche quel che ho trovato lasciate le rampe e varcata la soglia dello studio dell'artista trentina, che è un unico grande ambiente con dentro tutto il suo mondo.
Laurina Paperina è la pittrice pop italiana per eccellenza. Nel nostro paese è rappresentata da due gallerie, Studio d'Arte Raffaelli a Trento e Martina Corbetta a Giussano. È stata esposta in decine di musei italiani ed europei. Negli Stati Uniti ha un mercato vivace, che l'ha vista ospite dell'ultima edizione di ArtMiami. Il suo mondo significa le grandi tele due metri per due, appese in lavorazione alle pareti; i cassetti zeppi delle piccole tavole e tele, che sono state, fino a pochi anni fa, la sua cosa; i raccoglitori che rigurgitano vecchie cartoline scovate nei mercatini, che lei ritocca con pennarelli e acrilici; la scultura di Shitman, suo personaggio-feticcio; il neon rosa che recita «Zio Pork!», imprecazione-mantra che ricorre nelle sue opere; la torre del computer dipinta con un cervello rosa, che fa il paio con la cabina elettrica identicamente dipinta nel 2015 in centro a Milano, e che ancora resiste intatta in via San Paolo angolo Piazza Meda; e poi i dinosauri e i pipistrelli di gomma, la maschera a testa di papera, i graffiti, il raccoglitore con i chupa-chups per gli ospiti, il frigo con le birrette, i succhi di frutta, la cola d'imitazione (rigorosamente non Coca) per le lunghe notti spese qui a dipingere. Per le sue opere spesso prende figure della cultura popolare, dai supereroi ai personaggi Disney, dai protagonisti della serie Twin Peaks alle star dell'arte contemporanea, dagli alieni ai mostri classici dell'horror, e ne fa il soggetto di quadri corali, affollati, sempre allegrissimi, dove queste icone pop sono trasfigurate con ironia, spogliate di ogni seriosità e retorica, colorate in tinte piatte, accattivanti, sgargianti. Verrebbe da avvicinare Laurina Paperina a Murakami Takashi per l'estetica superflat, o a Keith Haring per lo sconfinamento verso il fumetto, ma è un gioco che ha poco senso, perché lo stile dell'artista di Rovereto è su un altro piano, ben definito, inconfondibile.
«Allora adesso che sei passata alle grandi tele quanti quadri fai all'anno?» Abbiamo preso un succo alla pera. Ci siamo seduti davanti a un grande ventilatore a piantana, lei sulla poltrona girevole del computer, io su uno sgabello schizzato di vernice (che però non lascia macchie, mi ha assicurato). «Ne faccio sei o sette. Lavorare su queste dimensioni richiede un sacco di lavoro, ci vuole un paio di mesi a quadro. Prima faccio un progetto con la tavoletta grafica e il computer. Mi serve per bilanciare gli spazi e i soggetti, per cercare il giusto equilibrio tra pieno e vuoto. Poi lo stampo in A4 e lo uso come traccia quando dipingo sulla tela. Adesso prendo anche in atelier qualche giovane che ha finito il liceo artistico qui a Rovereto o che comincia a fare arte con un'altra formazione. Uso acrilici ad acqua, che sono colori poco coprenti. Allora io inizio il quadro, passo la prima mano, definisco le campiture, loro le riprendono con lo stesso colore e danno una seconda mano o anche una terza, per ottenere un colore pieno, uniforme, senza trasparenze. Poi io vado avanti, finisco, le sfumature ma anche gli errori sono i miei, qualche volta aggiungo altre figure rispetto al progetto originale. Questi ragazzi e ragazze da me fanno esperienza di cosa significa lavorare nell'arte, imparano a tenere i contatti con le gallerie, ad avere tempi di consegna. Ma per me sono importantissimi perché senza di loro i miei tempi di lavorazione diventerebbero infiniti».
Dunque purezza, franchezza, e aggiungiamo anche sincerità. Ma soprattutto Laurina Paperina sa bilanciare il prendersi sul serio (consapevole dei propri mezzi e del proprio status di artista internazionale), e il rimanere serenamente con i piedi per terra, autoironica e sempre pronta a ridere di qualsiasi cosa, con leggerezza.
Sono caratteristiche che mi corrispondono, che cerco negli scrittori e negli artisti, che me li fanno sentire vicini. E pazienza se ti dicono che lo sgabello sporco di vernice su cui ti stai per sedere non macchia, ma a casa ti ritrovi con i pantaloni chiazzati di rosa.
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