Cultura e Spettacoli

Un condominio di concentramento sotto le bombe

Fabrizio Ottaviani

Piacerà a chi ha un debole per i microcosmi concentrazionari, il romanzo di Marcello Introna, Castigo di Dio (Mondadori, pagg. 296, euro 19). Il vero protagonista è infatti il complesso abitativo della «Socia» di Bari, nato alla fine dell'Ottocento e ben presto trasformatosi in un covo di sfruttatori. Mancava l'elettricità e l'acqua corrente e, quanto alla fognatura, «non era mai stata allacciata all'intestino del palazzo». Obbedendo alle regole del romanzo storico, che consentono di inventare l'intreccio, ma impongono di rispettare vicende che appartengono a tutti, Introna dà uno spaccato di quella che avrebbe potuto essere la vita quotidiana nella «Socia» dalla caduta del fascismo, nel luglio del 1943, alla conclusione della guerra. Il condominio è stratificato come l'inferno di Dante: al primo piano abita una legione di prostitute, al secondo domina «il vizio» e al terzo «il camino», del quale è preferibile lasciare nel vago la funzione per non svelare una sorpresa. C'è anche un quarto piano, dove risiede Amaro: violento e spietato, è il re della borsa nera, che organizza grazie alla connivenza con il prefetto.

Il romanzo si dispiega attorno al rapimento di una dodicenne, sequestrata da Amaro e confinata per mesi negli spazi ipogei della «Socia», e ai tentativi di un giornalista di denunciare l'intreccio di miseria, rapacità e illegalità presente a Bari al tempo della guerra. Ricostruzione riuscita di un universo topologicamente dettagliato nonché popolato da caratteri riconoscibili, Castigo di Dio è scritto in un italiano ricco di metafore corrusche che all'inizio fa pensare allo stile di Elsa Morante ma poi, contaminato da una pluralità di modelli (il fumetto, il western di Cormac McCarthy) vira verso la prosa di John Fante.

Un punto di forza del romanzo è lo sfondo storico, che forse è poco noto. Il lettore assiste all'attacco condotto dalla Wehrmacht a Bari il 9 settembre del 1943, in parte respinto con successo dai carabinieri, e poi ad uno scontro fra tedeschi e alleati durante il quale gli inglesi impiegarono un nuovo gas all'arsenico, la lewsite, «che associato all'iprite ne aumentava enormemente la pericolosità». Nelle ore successive al bombardamento, nelle acque del porto furono ripescati corpi orribilmente mutilati: «Gli mancavano le mani, come se fossero state di cera e avesse cercato di lavarsele nel magma». Apprendiamo che Roosevelt promise di non usare i gas e poi lo fece, e che gli alleati scaricarono nel mare centinaia di barili di veleno, con le conseguenze che si possono immaginare sulla salute della popolazione pugliese. La verità sarebbe affiorata solo molti anni dopo, perché Churchill zittì i testimoni, giungendo ad impedire che la notizia sull'uso dei gas fosse rimossa dai Diari postumi di Goebbels: il che, se non fosse tragico, sarebbe grottesco.

Intanto, è consolante constatare che saremo pure il Paese degli omissis, ma che talvolta, ad esserlo, ci hanno aiutato anche gli altri.

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