Cultura e Spettacoli

Così l'"inventor" Donatello scolpì l'idea di Rinascimento

Firenze celebra il più grande artista della sua epoca con un’esposizione unica e opere da tutto il mondo

Così l'"inventor" Donatello scolpì l'idea di Rinascimento

Donatello primus inventor, Donatello sublime intagliatore del marmo, Donatello maestro dei maestri, Donatello gemma di un secolo d'oro, Old Master e New Vision, Donatello contemporaneo di ogni epoca contemporanea: appartiene al Quattrocento o al nostro tempo? Se lo chiedeva già Giorgio Vasari. «Gli artefici debbono riconoscere la grandezza dell'arte più da costui che da qualunque sia nato modernamente». E la domanda è: come si riesce a raccontare la vita e le opere del «più eccellente scultore» della storia dell'arte, icona di Firenze, simbolo del Rinascimento, artista rivoluzionario nei materiali, nelle tecniche e nei generi, con una mostra che sia «evento», una delle più importanti della storia recente? Come si riesce a mettere in movimento una mostra parola chiave di un artista che diede la vita a figure altrimenti immobili nel marmo e nel bronzo che raccoglie tutto ciò che si può vedere di Donatello, escluse le opere inamovibili, con capolavori mai usciti prima dalle loro collocazioni originarie?

Risposte. Abbattendo il luogo comune secondo cui la scultura non ha sul grande pubblico lo stesso appeal della pittura, percepita più facile da capire e da fare capire (la mostra è poco instagrammabile, e allora?). Alzando l'asticella scientifica e abbassando quella della spettacolarizzazione. Mettendo insieme due eccellenze museali come Palazzo Strozzi e Museo del Bargello, e i loro direttori, Arturo Galansino e Paola D'Agostino, in una città, Firenze, che continua a mostrare anche l'antico in un'epoca di strapotere del contemporaneo. Coinvolgendo partner speciali: gli Staatliche Museen di Berlino e il Victoria and Albert Museum di Londra, dove poi approderà la mostra fra l'autunno del 2022 e la primavera del '23. Scegliendo un curatore del livello di Francesco Caglioti, docente di Storia dell'arte medievale alla Scuola Normale di Pisa, «donatellologo» illustre. E avendo il coraggio di investire tra prestiti, trasporti, allestimento, curatela, comunicazione e un monumentale catalogo di Marsilio Arte una cifra nell'ordine dei milioni di euro (la Fondazione Palazzo Strozzi non si sbilancia, ma le due esposizioni del 2021 hanno portato in cassa due milioni e mezzo di euro).

Ed ecco il risultato: Donatello. Il Rinascimento perché Donatello è il Rinascimento la mostra che da domani al 31 luglio unisce Palazzo Strozzi e il Bargello: e passeggiando da un museo all'altro, 650 metri, quattro minuti a piedi su GoogleMaps, c'è anche il tempo di fermarsi davanti alla chiesa di Orsanmichele, dove tre delle 14 sculture del tabernacoli esterni sono del Maestro.

Eccolo il Rinascimento di Donatello: 150 opere (cinquanta sue e le altre a confronto di Brunelleschi, Masaccio, Mantegna, Michelangelo, Raffaello...), provenienti da istituzioni di mezzo mondo, da Washington a Vienna, 14 sezioni e un'ambizione: fare vedere allo spettatore, come non aveva mai visto, la più grande scultura monumentale di tutti i temi dopo l'arte classica.

Visitare la mostra con il professor Caglioti significa seguire una lectio di storia dell'arte sul campo. Si comincia a Palazzo Strozzi, e già la prima sala ti mette in ginocchio. Da una parte il colossale crocifisso ligneo di Donatello (1408) che arriva da Santa Croce e dall'altra quello di Brunelleschi (1418) da Santa Maria Novella il secondo è un Cristo regale, composto che sembra non abbia sofferto, il primo è rude, reale, «contadino»: così già si intuisce lo scarto del genio - e il direttore Arturo Galansino sa bene quanto può essere difficile spostare anche solo di poche centinaia di metri due capolavori simili, tra ordini religiosi, sovrintendenze e gelosie. E poi in mezzo alla sala ecco il primo David scolpito da Donatello, in marmo, 1408: è un eroe, incarnazione della Florentina libertas, così sfrontato e insolente, con quella mano appoggiata al fianco sinistro, gesto di sfida mai visto prima nell'arte occidentale. La rivoluzione è una cosa antica. Donatello audace e trasgressivo - ha trasformato tutto ciò su cui ha messo le mani: marmo, pietra, bronzo, terracotta (c'è una intera sala, la seconda), legno, stucco, rame sbalzato, paste vitree e ceramiche. Materie antiche, idee nuove. Spazio scolpito, spazio dipinto. Si chiama ribaltare la visione corrente.

Donatello ha lavorato fino alla fine, a 80 anni, nonostante la malattia che oggi chiamiamo Parkinson. Il percorso espositivo è lungo. Ci sono due Virtù del battistero di Siena, la Fede e la Speranza (una «prima» e una «dopo» la cura dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, il lavoro del quale ha garantito alla mostra certi prestiti). C'è tutto il lavoro sulla prospettiva e l'invenzione dello «schiacciato», cioè il rilievo che con variazioni minime rispetto al fondo suggerisce un'illusione di profondità attraverso sottilissimi gradi di spessore: ed ecco il Convito di Erode (1923-27), che arriva da Siena. C'è la Madonna Pazzi (1422), in marmo, dove - per la prima volta nella storia - Maria non guarda lo spettatore, è troppo presa nell'abbraccio, naso contro naso, col Bambino. C'è la prima statua pagana della storia dell'arte dopo l'età classica, e cioè il bronzo dorato Amore-Attis (1435-40), un putto alato che ha l'argento vivo addosso: gli si è infilato un serpentello nel sandalo e sembra caderti addosso. C'è il pergamo del Duomo di Prato con la Danza degli spiritelli. Ci sono i battenti della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo: la Porta degli Apostoli e la Porta dei Martiri, una ancora da ripulire, l'altra già splendente. E poi ci sono due stanze con le opere che Donatello realizzò nei dieci anni in cui visse a Padova, fra cui, per la Basilica di Sant'Antonio, il primo crocifisso monumentale in bronzo fuso dell'arte cristiana, dove il Cristo porta appeso al perizoma un cencio che sembra stia per volare via: lì si concentra tutta la storia del Venerdì Santo, giorno di tempesta e di tragedia.

E mancano ancora da vedere i tesori del Bargello, dove in due sale si celebra la fortuna dell'artista nei secoli, e dove incontriamo le sue opere «assolute»: il San Giorgio e il drago, il Marzocco in pietra serena il leone araldico che poggia la zampa sul giglio fiorentino - e il David vittorioso in bronzo (1435-40) che, nel «salone di Donatello» riallestito per l'occasione, sa sorprenderti ancora una volta. È nudo, nella destra ha la spada, il piede schiaccia la testa del mostro e sembra dire: «Fatevi coraggio come me! Sconfiggete il tiranno». La Storia si ripete.

A proposito. Nella stanza delle Madonne in terracotta ce ne sono due, provenienti da Berlino, città in cui finirono in pezzi, bombardate nell'ultimo mese della Seconda guerra mondiale, e le fotografie in bianco e nero dell'epoca sono agghiaccianti. Ora sono qui, restaurate, vive, di nuovo splendide. Riappacificate.

Quando la speranza passa dall'Arte.

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