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Così l'alchimista Monet trovò la formula dell'arte contemporanea

Intorno ai 40 anni, il pittore superò il realismo Facendo delle proprie tele dei luoghi interiori

Così l'alchimista Monet trovò la formula dell'arte contemporanea

L'inverno a cavallo tra il 1879 e il 1880 somigliava a quello di queste settimane: temperature glaciali, freddo ovunque in Europa. Per la storia dell'arte fu una grazia. Claude Monet, dalla sua casetta di Vétheuil lungo la Senna, dove viveva da pittore ormai affermato con la seconda moglie Alice e i figli, ascoltava e osservava il rumore del ghiaccio nel fiume. E da lì ebbe inizio la rivoluzione della pittura post-impressionista, cioè contemporanea.

Per capire quanto Monet sia lontano dal santino caro agli organizzatori di mostre (a Treviso è stata appena prorogata quella sugli Impressionisti, 120mila prenotazioni in soli due mesi e mezzo, mentre Milano si prepara alle code davanti a Palazzo Reale per l'arrivo di una monografica su Édouard Manet) bisogna andare in Svizzera, a Basilea. Nell'anno del suo ventennale, la Fondation Beyeler dimostra, in un viaggio tra sessantadue opere firmate da monsieur Monet (prestiti dal Musée d'Orsay di Parigi, dal Metropolitan di New York, dalla Tate di Londra e una quindicina di pezzi provenienti da collezioni private quasi mai esposti al pubblico) perché è lui il vero padre dell'arte moderna. La sua peculiare concezione di pittura un flusso indefesso, libero, alla fine simbolico influenzò Kandinskij e una generazione di pittori informali a partire da Pollock, Sam Francis, Barnett Newman, Mark Tobey.

Sì, il placido Monet dalle vedute lungo la Senna, il pittore delle ninfee, è tutto tranne che l'artista da cartolina carina e magnete sul frigorifero cui l'abbiamo ridotto. Ossessionato dalla luce, studioso scrupoloso della natura e dei suoi fenomeni, Monet (1840-1926) passò gli ultimi decenni della sua vita a interrogarsi sulle infinite possibilità della loro rappresentazione. Cominciò a farlo in quel freddo inverno del 1879, osservando la superficie del ghiaccio e i suoi cangianti colori, per trasformarli in qualcosa di lontano dalla mera descrizione realistica. En plein air d'accordo, ma soprattutto nella testa: da copie del vero, le sue tele diventano luoghi interiori, simboli. Di molte non si capisce dove stia l'alto e dove il basso: Kandinskij stesso, davanti a uno dei Covoni di fieno (in mostra), rimase perplesso.

Monet è un rivoluzionario perché capace di infondere dubbi: è davvero una ninfea quella profonda macchia blu che vediamo? E il lilla del Mattutino sulla Senna è una visione reale o onirica? Charing Cross Bridge, con i suoi squarci di arancione nell'atmosfera indefinita della nebbia, la Veduta di Bordighera, omaggio a quella luce mediterranea che tanto amava, In norvegese, capolavoro tra i capolavori, con le tre donne di bianco vestite in barca e il loro riflesso che si mescola alle alghe del fiume, e poi ancora il ciclo delle grandi Ninfee, dipinte fino agli anni Venti del Novecento, sono soltanto apparentemente rassicuranti. Basta avvicinarsi alla tela e osservane la trama, per cogliere la misteriosa precisione dell'indefinito che è la sua cifra stilistica. Pittore impressionista, anzi alchimista: dichiara che laddove gli altri dipingono un ponte, una nave, una casa, lui cerca di dipingerne l'aria intorno. «Inseguo l'impossibile», il suo motto spavaldo.

«Monet» (da domani fino al 28 maggio, fondationbeyeler.ch, ingresso gratuito per gli under 25) è costruita come un assolo sulla sua produzione tarda, quella tra il 1880 e i primi anni del secolo successivo, ed è scandita stanza per stanza dai suoi mondi figurali: la Senna, gli alberi (splendidi i paesaggi primaverili con pioppi, provenienti da collezioni private), il mare della Costa Azzurra, Londra, il giardino. Seguiamo Monet ripetere ossessivamente i motivi dei ponti avvolti dalla nebbia, dei bordi dei fiumi, delle scogliere, degli alberi: pittore di luce e ancor più di ombre, è capace di associazioni inedite di colori (giallo e lilla, ad esempio) e di capolavori assoluti celati sotto un'apparente banalità.

La mostra si chiude con il monumentale Le bassin aux nymphéas, composto di tre pannelli lunghi tre metri ciascuno, uno dei pezzi-simbolo della collezione permanente della Beyeler. Nessuna pretesa di realismo, questo decoro mentale, informale ben prima di Pollock e Rothko, dimostra quanto cerebrale e complessa sia la pittura di monsieur Monet.

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