All'inizio del Settecento, Antoine Galland pose termine alla sua imponente traduzione delle Mille e una notte, dodici volumi in cui l'intero corpus della seduzione orientale veniva dispiegato davanti al divano del lettore occidentale. Viaggiatore, erudito, bon vivant, Galland era l'uomo adatto per un'epoca in cui il sole di Luigi XIV era ormai al suo estremo tramonto, le fiabe di Perrault avevano esaurito le loro scorte di gatti con gli stivali e cappuccetti rossi e le prime avvisaglie di un illuminismo scettico e realista cominciavano a battere in breccia le certezze dell'Ancien Régime in cui si era sovrani per diritto divino... Senza strafare, qui e là ritoccando, qui e là riadattando, sempre e comunque ricucendo il tutto nello stile e nel tono del suo tempo, Galland forniva al pubblico colto che ne era il naturale destinatario, tutto ciò che quest'ultimo desiderava: l'evasione e l'esotismo, la favola e il proibito, il colore e la sua ombra: «Il lettore avrà il piacere di veder agire e di sentire parlare questi popoli, senza la fatica di andarli a cercare nei loro paesi». Era una strizzata d'occhio ai viaggiatori immobili, a quello che più tardi Xavier de Maistre teorizzerà nel suo Viaggio intorno alla mia camera e che ancora un secolo dopo il novecentesco Mac Orlan codificherà nella figura dell'«avventuriero passivo», per certi versi, come nota Attilio Brilli nel suo Il grande racconto del favoloso Oriente (il Mulino, pagg. 479, euro 48), «la supremazia dell'invenzione narrativa sulla testimonianza diretta». Con le Mille e una notte l'Oriente passa di mano, il geografo, il naturalista, il mercante cedono il passo al viaggiatore, all'artista, al letterato. Come osserverà nell'Ottocento de Gobineau, è quello il libro che meglio comprende e riassume l'idea stessa dell'Oriente.
Il saggio di Brilli parte proprio dalle Mille e una notte di Galland per dar vita a una cavalcata, splendidamente illustrata, attraverso quello che può essere considerato l'Altrove dell'Occidente. Il risultato è una sorta di gigantesco baedeker che dal Vicino oriente mediterraneo e dall'Arabia come continente a sé spazia sino all'Estremo oriente asiatico per poi sconfinare nella Polinesia e nei mari del Sud. Troppa grazia, vien voglia di dire, perché la vastità è per forza di cose costretta a restringere gli spazi e l'insieme finisce per dare l'impressione del restare quasi sempre in superficie, non potendo spingersi troppo in profondità.
Fermiamoci un istante. Come ha scritto Robert Byron, l'autore di quel classico che si chiama La via per l'Oxiana, «viaggiare in Europa vuol dire far parte di un'eredità prevista; nell'Islam, ispezionare quella di un parente prossimo. Ma viaggiare nell'Asia più lontana vuol dire scoprire novità insospettate e inimmaginabili, e non è questione di indagarla, ma semplicemente di imparare che esiste». Se è così, ha più senso, in questa sede, soffermarsi sul «parente prossimo» islamico, ovvero medio orientale, indagine che, va da sé, già da sola vale il viaggio e, nella fattispecie, il libro di Brilli.
Fra quando le Mille e una notte di Galland si impongono al pubblico colto europeo e l'Itinéraire de Paris à Jérusalem di Chateaubriand cambia radicalmente la prospettiva della cosiddetta narrativa di viaggio, modernizzandola e rendendola quella che noi oggi conosciamo, passa più o meno un secolo e in quell'arco di tempo non è solo l'occhio del viaggiatore a cambiare, ma anche l'oggetto del suo sguardo.
L'idea di una civiltà statica, priva, come scrive Brilli, «di un proprio interiore dinamismo, può lasciarsi interpretare alla stregua di un mondo fiabesco» e Lady Mary Wortley Montagu, moglie dell'ambasciatore inglese presso l'Impero ottomano, può nelle sue corrispondenze settecentesche assumere il tono disinvolto dell'osservatore privilegiato che svela dall'interno i segreti dei bagni femminili del sultano... Ma al giro di boa settecentesco c'è Napoleone accampato con il suo esercito davanti alle Piramidi e l'Oriente praticamente è entrato nelle case dell'Occidente, lo stile egizio e la stele di Rosetta, i pittori orientalisti e il serraglio ricostruito negli atelier di Montmartre, i sarcofaghi dei faraoni al Crystal Palace di Londra... L'Occidente, insomma, impone il suo sigillo politico e insieme, nota Brilli, «riafferma il proprio ordine culturale del quale intende scoprire, nelle antiche civiltà del Mediterraneo orientale, le origini remote. Su queste basi il viaggio in Oriente tenderà ad assumere il valore rituale di una celebrazione collettiva».
Il paradosso è che, tanto più si dà per scontata l'affiliazione, tanto più la memoria storica si fa evanescente, «presentandosi come l'incrostazione di un sedimento enigmatico, indecifrabile, un mondo posto ai margini delle vie del progresso, gremito di eventi mirabolanti, eppure ridotto al silenzio dall'alone di mistero nel quale si avvolge». Che a questo silenzio possano dar voce solo gli occidentali, in possesso di una consapevolezza storica che agli orientali manca, è l'idea che sta alla base di un Oriente visto come un «gigantesco serraglio immaginario» del conquistatore «che si muove esibendo il suo desiderio di onnipotenza, l'esercizio dell'intelligenza e dell'arbitrio e la pratica indiscriminata dell'appropriazione». Può anche accadere però che sia la fascinazione ad avere il sopravvento, l'Oriente a sedurre e imprigionare l'incauto occidentale. Succederà, nelle sue forme più varie, a Nerval, a Pierre Loti, succederà a Joseph Thomas Arnaud, uno che ritiene «la nostra Europa una tana di talpe. Solo l'Oriente è grande». Arriverà a San'a, poi a Marib, l'antica capitale del regno di Saba, nel sud della penisola arabica, affronterà fatiche incredibili, ne lascerà un resoconto, Viaggio nel regno della regina di Saba...
Di questa visione leggendaria il libro di Brilli dà conto, lo abbiamo accennato, anche con un ricchissimo apparato iconografico che è una vera festa per gli occhi, foto,
dipinti, miniature, incisioni, persino le figurine Liebig di quando l'Oriente diventa un prodotto e si ostina a concedere il suo profumo a un Occidente che più la mercifica e più ne avverte, irrimediabilmente, la nostalgia.
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