Così Mussolini raccontava la sua vita nelle trincee

Matteo SacchiUna cronaca in presa diretta dalle trincee, a volte densa d'azione, a volte dedita a fatti minuti della vita del fante, a volte frappunta della retorica interventista dell'epoca (sono queste le parti meno riuscite e per fortuna rare). Un diario, pubblicato in 28 puntate sul Popolo d'Italia, che doveva essere prova testimoniale che Mussolini era stato capace di far seguire i fatti alle parole. E, a più di cent'anni dalla prima pubblicazione (ne venne fatta una seconda nel 1923), un testo capace di raccontare la Prima guerra mondiale con un'ottica assolutamente particolare. Stiamo parlando de Il mio diario di guerra 1915-1917 (da oggi in edicola con il Giornale a euro 7,50 più il prezzo del quotidiano e con la prefazione di Giordano Bruno Guerri) che il futuro duce vergò richiamato alle armi - bersagliere - per partecipare di persona a quel conflitto di cui aveva voluto, a costo di rompere con il socialismo, l'Italia partecipe.Come racconta Mussolini la vita al fronte? Da bravo giornalista. C'è tutto, senza omissione: la noia, il terrore per i bombardamenti, anche dei glossari per rendere edotti i lettori del linguaggio, tutto particolare, che stava nascendo nelle trincee. Ma soprattutto c'è il senso di gelo che caratterizza la guerra in montagna. Ne nasce un testo «immediato», diverso da altre memorie, magari scritte mesi o anni dopo il conflitto. E per di più un testo che per sua stessa natura racconta una strana contraddizione. L'agitatore politico ai militari piace ma non troppo, meglio relegarlo al ruolo di semplice fante. E all'agitatore piacciono di sicuro più i soldati al fronte che i generali.

Consciamente o inconsciamente Mussolini si ritaglia un ruolo in cui oscilla tra l'adesione all'etica umile del soldato e il mantenimento del ruolo di politico trainante. Lo caratterizzerà a lungo e caratterizzerà l'immaginario del regime che verrà.

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