Così gli scrittori si ribellarono al Pci

Un saggio riscopre i pochi che presero le distanze dallo stalinismo

Così gli scrittori si ribellarono al Pci

Sulla disputa infinita riguardante il comunismo un capitolo significativo è costituito dal dibattito svoltosi all'interno della sinistra tra gli ortodossi e i riformisti, cioè tra coloro che, sino alla caduta del Muro di Berlino -sia pur con sempre meno convinzione-, ne hanno difeso l'esperienza storica, e coloro che, a partire dal 1956 -ma anche prima-, l'hanno criticata, giungendo al ripudio totale.

Un libro, a cura di Giuseppe Averardi, Ungheria 1956. La rivolta degli intellettuali occidentali contro l'ipocrisia comunista (Minerva, 2018, pagg. 351, euro 18), porta ora ulteriore luce su questa contrapposizione, a conferma che sono sempre esistite due sinistre, l'una totalitaria, l'altra democratico-liberale.

Dopo la sanguinosa repressione della rivolta ungherese (1956), in Italia un coraggioso gruppo di giornalisti, politici, intellettuali, già gravitanti a vario titolo nell'area del Pci, tra cui Michele Pellicani, Eugenio Reale, Alfonso Gatto, Antonio Ghirelli, oltre allo stesso Averardi, diedero vita alla rivista Corrispondenza Socialista con l'intento di denunciare non solo i crimini dello stalinismo, ma di sottoporre ad un esame impietoso tutte le argomentazioni che in qualche modo giustificavano l'intera esperienza storica comunista. Il valore di questa testimonianza non è solo intellettuale, ma è anche morale, qualora si tenga conto delle accuse che essi per anni dovettero subire dai loro ex compagni. Naturalmente si è visto poi chi aveva ragione.

Il libro riporta non solo i preziosi contributi - alcuni davvero profetici - dei redattori e collaboratori del periodico, ma anche quelli di alcuni importanti intellettuali europei e americani che collaborarono, con articoli e saggi, a Corrispondenza Socialista, tra cui Albert Camus, Vasco Pratolini, Francois Fejtõ, Elio Vittorini, Milovan Gilas, Edgard Morin, Gustav Herling, Margarete Neumann, Aldo Garosci. Rileggendoli si vede oggi come siano state già allora complessivamente smontate tutte le principali argomentazioni propagandate sull'Unione Sovietica.

Ricordiamo alcune di queste argomentazioni. Stalin era stato un dittatore feroce, ma fu posto nelle condizioni di non poter fare diversamente, dal momento che l'Unione Sovietica era accerchiata dai Paesi capitalistici e la dittatura, con la conseguente pratica del terrore omicida, non può essere giudicata prescindendo da questo contesto.

Lo stesso dicasi per Lenin, a cui, anzi, non si può addossare la colpa di avere edificato il regime più totalitario del ventesimo secolo. Argomentazioni che oggi appaiono come stereotipi privi di ogni fondamento, la cui unica funzione fu quella di aver avallato il falli-mento del comunismo.

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