Le cose turche (ma buone) della signora dei vaccini

Moglie dell'ambasciatore inglese nell'Impero Ottomano, nel '700 diede il via al metodo di cura

Le cose turche (ma buone) della signora dei vaccini

Siam tutti qua ad aspettare il vaccino, non si parla d'altro, sembra l'unica salvezza. Poi però ci sono i no vax, quelli che pensano che no, meglio non farlo proprio, vuoi mettere le conseguenze.

Storia vecchia. I no vax sono nati esattamente allo stesso tempo dei vaccini, anzi anche prima, a voler essere precisi. Fino a metà del Settecento le popolazioni erano falciate dalle epidemie. A parte la peste (quella che la letteratura ci ha più vivacemente tramandato), c'era un lungo elenco di malattie infettive devastanti, oggi dimenticate, e fra queste il vaiolo era un castigo di Dio. Letteralmente, era considerato una punizione per i peccati dell'uomo. Chi guariva, ne era comunque segnato, ne portava i segni sulla faccia butterata. È il contrappasso che tocca alla perfida marchesa de Merteuil nelle Relazioni pericolose di Choderlos de Laclos. È quello che capitò a Lady Wortley Montagu, nata Pierrepoint, gentildonna inglese bella e affascinante, intelligente e colta, sposata a Edward Montagu, ambasciatore della Corona in Turchia negli anni in cui l'aquila degli Asburgo artigliava i possedimenti ottomani e ricacciava indietro i sogni islamici di conquista dell'Europa.

Ebbene, ai primi del Settecento a Costantinopoli già sapevano come curare il vaiolo. Non proprio con un vaccino, ma con qualcosa di molto simile: l'inoculazione nel sangue dei sani di una piccola quantità di materia infetta prelevata dai malati.

Fu Lady Montagu ad accorgersene e ad avvertire per prima la comunità scientifica occidentale, che era anche meno scientifica di adesso, se si guarda a come cercava di curare le malattie: salassi, clisteri, saune, correnti d'aria fredda. A partire dalle biografie di questa donna straordinaria, e dai carteggi che ne sono rimasti, Maria Teresa Giaveri ha ricostruito questo «Viaggio avventuroso alle origini dei vaccini» in un volume di piacevolissima lettura, Lady Montagu e il dragomanno (Neri Pozza, pagg. 160, euro 17), dove «dragomanno» è la qualifica che ricopriva Emanuel Timoni, giovanotto di bellissime speranze, laureato in Medicina a Padova e assistente dell'ambasciatore presso la corte e negli accampamenti militari dei Giannizzeri. I dragomanni erano personalità chiave il cui incarico si tramandava per generazioni, erano un'élite selezionata e in quanto tali ascoltati con grande attenzione.

Non sulla base di chiacchiere, riti magici e superstizioni, ma su precise indicazioni di questo medico, Lady Montagu seppe e si convinse che la prevenzione del vaiolo era possibile. Accanto a Timoni operava anche Jacopo Pilarino, nato a Cefalonia, cresciuto a Venezia e anche lui laureato a Padova. E persuaso dell'efficacia del metodo. E infatti Lady Montagu ne fu talmente convinta che sottopose a inoculazione i suoi stessi figli.

Per anni questa donna intelligente si batté per la causa, tentando di convincere i governanti d'Europa che il morbo si poteva prevenire con poco danno, per quanto un piccolo danno ci fosse: le persone così trattate si ammalavano per qualche giorno, una piccola percentuale moriva. E allora ecco nascere i proto no vax.

Si crearono due scuole di pensiero: una conservatrice, sostenuta dalla Chiesa cattolica, a cui l'ipotesi del castigo di Dio faceva comunque comodo, e una progressista che premeva per la sperimentazione. Va anche detto che a quel tempo non si guardava troppo per il sottile: si prendevano i condannati a morte e li si usava come cavie. A quelli andò bene due volte: evitarono sia l'impiccagione sia il vaiolo.

Le argomentazioni degli avversari erano però tutt'altro che deboli. In primo luogo, si chiedevano, che senso ha provocare un'infezione in un corpo sano e che non necessariamente verrà contagiato? E poi, quanti altri sarebbero stati contagiati proprio da quello? Insomma, non era un tirarsi la zappa sui piedi, abbandonarsi a un rischio certo per evitarne uno comunque più remoto?

A sbloccare la situazione furono una circostanza di ordine più emotivo, e cioè la morte di Luigi XV per vaiolo, e lo sviluppo di una nuova scienza: la statistica. Anche nel Settecento pasticciavano coi dati, proprio come nella Lombardia del Ventunesimo secolo. Però qualche testa fina, come il fisico inglese Jurin e lo svizzero Bernoulli, ne traevano modelli probabilistici, non diversi da quelli che regolavano il nascente gioco del lotto, a cui per esempio Federico II di Prussia era molto interessato (fu Giacomo Casanova, pare, a convincerlo: «Maestà, la lotteria è un'imposta»).

L'inoculazione, di fatto, quanto più era praticata tanto più riduceva nella popolazione le probabilità di ammalarsi. Lady Montagu e i suoi consiglieri avevano dunque ragione.

Il vaccino venne subito dopo. Come tutti sanno, il nome viene da «vacca» e fu Edward Jenner, per quanto osteggiato, a dimostrare che l'inoculazione di materiale infetto di origine bovina immunizzava definitivamente l'essere umano con rischi molto minori.

Bisogna riconoscere che una volta di più furono l'intuizione, l'arguzia e la tenacia di una donna a determinare una svolta positiva nel corso degli eventi umani. Non possiamo affermare che senza Lady Mary Montagu non ci si sarebbe arrivati lo stesso, al vaccino, ma di certo lei ci vide lungo, e con lei molti suoi ammiratori, massimi esponenti dell'Illuminismo, da Voltaire al nostro Francesco Algarotti (che con Federico di Prussia era in rapporti piuttosto intimi, diciamo pure gay).

La fascinosa nobildonna che si truccava con la biacca per nascondere i segni del morbo, e che era tormentata dal sole per aver perso anche le ciglia in seguito alla malattia, mise del suo perché

le stesse cose non accadessero ad altri. Per questo viene ancora ricordata in un libro che ne illumina potentemente le doti, un omaggio alla capacità che hanno solo le donne di guardare oltre i pregiudizi del senso comune.

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