Creiamo robot per sentirci dio E poi temiamo «blade runner»

Così, dagli egizi alle A.I., i «simil-uomo» hanno influenzato l'immaginario di massa. Fra cinema, arte, musica e design

Creiamo robot per sentirci dio E poi temiamo «blade runner»

La storia del futuro parte sempre da lontano. Ciò che noi chiamiamo robot per gli egizi era una statuetta di Anubis, il dio dei morti, realizzata attorno al 1150 a.C., con la testa di cane in legno e la mandibola mobile che simula l'uso della parola. Gli antichi avevano già capito che il nostro alter ego perfetto non è necessario che cammini o abbia fattezze umane. Però è imprescindibile che parli. L'irresistibile «lei» di cui si innamora Joaquin Phoenix in Her, film non così tanto fantascientifico di Spike Jonze del 2013, non ha neppure corpo: è un sistema operativo provvisto di intelligenza artificiale in grado di apprendere, elaborare e soprattutto comunicare emozioni. Niente di più. Vi ricordate il trailer del film A.I. - Intelligenza artificiale diretto nel 2001 da Steven Spielberg su un progetto di Stanley Kubrick? «In un futuro lontano, in un'epoca di macchine intelligenti, lui è il primo bambino robotico programmato per amare e diventare parte di una famiglia»...

Per i futurologi i robot di cui avrà bisogno la nostra società nei prossimi decenni non sono primariamente quelli addetti alle catene di montaggio. Ma: animali domestici parlanti per tenere compagnia agli anziani (nel 1999 la Sony lanciò il cane Aibo...), sexbot per completare la vita sessuale dei single (anche se già è stata lanciata una campagna guidata dalla dottoressa Kathleen Richardson della De Montfort University di Leicester per sensibilizzare sui problemi etici e morali che comporta l'utilizzo dei robot sessuali) e umanoidi intelligenti per insegnare nelle scuole. Del resto, quando la giapponese Honda nel 2000 presentò il prototipo di Asimo, un robot antropomorfo alto 120 centimetri, a stupire non fu solo il fatto che fosse in grado di salire e scendere le scale, ma che sapesse rispondere sensatamente a comandi vocali. E fu anche utilizzato in alcuni musei come accompagnatore. I robot saranno le nostre guide?

Automi, simulacri, robot, androidi, mutoidi, cyborg, ologrammi, replicanti... È dall'antichità che l'uomo tenta di costruire una copia di se stesso. E l'invenzione della replica di sé è il punto in cui noi umani ci sentiamo più vicini a Dio. Ma anche così in pericolo. Nel 2001 - anno in cui Arthur Clark e Stanley Kubrick avevano immaginato che il supercomputer HAL 9000 parlasse con gli astronauti a bordo del Discovery One l'inglese BT Group's BTexact Technologies, un gruppo di studiosi specializzati in elaborazione delle previsioni su basi matematiche, presentò il Rapporto sul nostro immediato futuro dove si legge che nel 2025, nei Paesi sviluppati, ci saranno più robot che uomini. Non solo. La loro superiorità fisica e intellettiva sarà tale che, nel 2030, potrebbero «pensare» di poter fare a meno dei loro creatori. Il mondo dei robot non è solo un bellissimo film scritto e diretto (nel 1973...) da Michael Crichton. Insomma, i robot sono o meglio: saranno buoni o cattivi?

È la domanda che si pone Luca Beatrice, critico d'arte che ama sconfinare nei campi della musica, del cinema e della televisione, nel testo introduttivo al suo grande atlante visivo sui Robot (24Ore Cultura, pagg. 272, euro 35) che ripercorre la storia dei «simil-uomini» dall'antica Grecia alle più moderne intelligenze artificiali, e soprattutto rintraccia tutte le influenze che l'universo dei robot&Co. ha avuto sull'immaginazione di massa e sui diversi linguaggi artistici: dalla letteratura al design, dal fumetto alla moda. Il viaggio è lunghissimo. Il «servo automatico» di Filone di Bisanzio, gli automi rinascimentali, Golem, Frankenstein, gli Elementi meccanici di Fernand Léger, Metropolis (con il celebre dialogo: «Il robot è quasi perfetto. Gli manca solo un'anima». «Ti sbagli. È perfetto perché è senz'anima»), l'età d'oro della science fiction, e poi Goldrake e Mazinga, i Kraftwerk («Stiamo caricando le nostre batterie/ Ed ora siamo pieni di energia/ Siamo i robot/ Funzioniamo automaticamente/ e balliamo musica meccanica/ Siamo robot/ Io sono il tuo servo/ Io sono il tuo robot-operaio»), la donna bionica di televisiva memoria, Terminator, i Trasformers, le collezioni dello stilista Alexander McQueen, la moda dei tatuaggi biomeccanici, il corpetto ipertecnologico Robotic spider dress progettato dal designer Anouk Wipprecht... fino a Pacific Rim, il pazzesco film di robottoni diretto da Guillermo del Toro nel 2013 in cui l'eroe ammette: «Per combattere i mostri, abbiamo creato a nostra volta dei mostri»... I robot sono buoni o cattivi? Appunto.

Quando lo scrittore Karel Capek, nel 1920, usò per la prima volta, rubandola al fratello Josef, la parola robot (dal termine ceco robota che significa «lavoro pesante» o «lavoro forzato»), sognava macchine capaci di svolgere un lavoro al posto dell'uomo, come i nostri soldati-robot o i robot-esploratori di lontani pianeti. Alla fine, però, almeno nella letteratura e nel cinema, è prevalso l'incubo: le macchine intelligenti si sono trasformate in qualcosa di pericoloso per l'uomo, fino al punto, nelle ipotesi più visionarie e apocalittiche, di prenderne il posto. «Sarà per l'aspetto meccanico così pronunciato, con tutto quell'acciaio in vista a sostituire la pelle, oppure per il mix di antropomorfismo ed essere alieno scrive Luca Beatrice il robot, ovvero l'unica creatura inventata e non generata, può trasformarsi nel nostro stesso nemico mortale».

Prima ci toglierà il posto di lavoro, poi la sua illimitata intelligenza si sostituirà alla nostra, e infine rivendicherà, legittimamente, sentimenti propri. Blade Runner.

A quel punto bramerà le stesse cose degli esseri umani. L'amore, la fama, e il potere soprattutto. Per ottenere il quale sarà pronto a ucciderci. Buoni o cattivi, dunque?

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