Controcultura

Cremona, Bologna, Casarsa. Le Piccole Patrie di PPP

Nel libro di Gnocchi, cinque reportage sul giovane scrittore. Dall'infanzia agli incontri con i maestri

Cremona, Bologna, Casarsa. Le Piccole Patrie di PPP

Devo dire la verità: non sono mai stato un pasoliniano. Sarà perché sono un figlio degli anni Ottanta, del capitalismo, dei videogiochi, di Spielberg, un borghese poco attratto dalla nostalgia del passato rurale, uno di quelli che Pasolini avrebbe definito omologato. Tanto meno sono attratto dalla saggistica su Pasolini, specie i pamphlet complottisti, che lo hanno avvicinato (omologato) al pensiero di autori, in genere comunisti, che avrebbero condannato PPP se fosse stato vivo, come tra l'altro hanno fatto anche fascisti e cattolici. Tuttavia Pasolini è stato un gigante, uno dei nostri più grandi intellettuali (non c'è bisogno lo dica io), e le sue contraddizioni fanno parte della sua grandezza, e in ogni caso con il centenario della nascita si ristampano libri vecchi e meno vecchi, ma per fortuna ne escono anche di nuovi, e tra questi quello che più mi ha attirato è Le Piccole Patrie di Pasolini, edito da La nave di Teseo e scritto da Alessandro Gnocchi. Perché Gnocchi lo conosco bene, è un intellettuale liberale, non è un marxista (anzi è decisamente anticomunista), viene dalla filologia e non poteva scrivere che un libro insieme obiettivo e da innamorato, un libro di viaggio, sulle tracce del Pasolini che ha attraversato la Pianura Padana, gli stessi luoghi di Gnocchi. Che letteralmente, come un detective, traccia una mappa con le puntine su una cartina, prende la sua Cinquecento, e si mette in pellegrinaggio tra Cremona, Bologna, ovviamente Casarsa, e infine Mantova, ma arrivando anche a preziose considerazioni su Petrolio, l'ultimo romanzo incompiuto, senza una traccia di dietrologia, finalmente, ma volendo sentire Pasolini in tutto e per tutto.

Dentro questo libro di viaggio e di pensiero Gnocchi è riuscito a distillare Pasolini come pochi altri, forse perché non ha sovrapposto se stesso all'autore come fanno i critici (ce ne sono ancora?), al contrario si è lasciato andare al sentimento e all'indagine, iniziando con una domanda: «Pasolini, perché a volte ho l'impressione di averti conosciuto?». Andare in Cinquecento con Gnocchi a visitare i luoghi di PPP è fare anche un viaggio emotivo nei testi di Pasolini (molto citati), cercare di vedere quei luoghi con gli occhi di Pasolini, essere Pasolini (come disse Carmelo Bene a Guido Almansi in una puntata del Maurizio Costanzo Show: «Non puoi non essere d'accordo con Baudelaire, devi essere Baudelaire!»).

Nei luoghi suddetti, raccontati da Gnocchi che confronta testi e setaccia tracce, nasce tutta la poetica di Pasolini, quella meno contaminata dalla palude delle ideologie (verso le quali sarà sempre un eretico) ma anche l'amore dell'autore per lo scrittore. Dice Gnocchi: «È il mio Pasolini. Il Pasolini giovane, anzi giovanissimo, il Pasolini che, come il suo mito Arthur Rimbaud, ha dato subito il meglio di se stesso». Dentro c'è tutto, gli incontri con i grandi maestri (Longhi e Contini), la libertà espressiva del dialetto friulano, la poco nota stagione dell'autonomismo friulano, i primi turbamenti a Cremona, il fiume (il Po) come luogo mitico, il rapporto con il fratello Guido, martire della Brigata Osoppo, la svolta comunista, l'espulsione dal Pci, i fatti di Ramuscello, il calcio («giocavo anche sei-sette ore di seguito, ininterrottamente: ala destra, allora, e i miei amici, qualche anno dopo mi chiamavano lo Stukas»). Incontriamo bar, molti bar, alcuni non ci sono più, chiese, cascine, i primi ragazzi, l'analogia con Caravaggio (esaminata magistralmente da Cesare Garboli e Vittorio Sgarbi), i processi infami, gli «articoli a lui dedicati scritti con la bava alla bocca e non con l'inchiostro. Insulti, calunnie, maldicenze non si contano. Il linguaggio è da rissa da bar: emerito pervertito, tracotante profanatore, osceno pornografo». Il senso di colpa della propria sessualità, bilanciato dall'adesione a un'ideologia, disordine interno e ordine esterno, un contrasto i cui nodi verranno al pettine in Petrolio (ma non solo lì).

Oggi Pasolini sarebbe di destra o di sinistra? Chi lo sa, neppure la destra e la sinistra sanno più cosa sono. Di certo, come ricorda Gnocchi, Pier Paolo a Lecce fece un dibattito con un gruppo di insegnanti, nell'ottobre del 1975, due settimane prima di morire, e a un certo punto: «Sorpresa. Pasolini invita un giovane fascista a fondare una destra sublime, priva di violenza, ignoranza, volgarità, bigotteria. Una destra che ama la tradizione, la vita e l'ordine». Non riesco a immaginare nessun intellettuale di sinistra oggi che abbia un'apertura simile. Ma chissà cosa avrebbe pensato della destra reale dei sovranisti sempre sui social a fare gli influencer. È probabile che, se non l'avessero ucciso barbaramente, a vedere il mondo di oggi si sarebbe ucciso.

Infine, la cosa sorprendente di questo bellissimo libro di Gnocchi è un'altra: il «suo» Pasolini è un Pasolini che sarebbe piaciuto a Pasolini, perché è un libro commovente come se fosse stato scritto da uno dei suoi migliori amici, cosa che gli amici di Pasolini non sono riusciti a scrivere.

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